Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente comunicato dell’Adam Smith Society sui cambiamenti legati alla smaterializzazione del denaro
“Uno dei cambiamenti delle abitudini quotidiane più rapido degli ultimi anni è relativo al modo in cui paghiamo i nostri consumi. Cambiamenti legati alla smaterializzazione del denaro. In certi Paesi del Nord Europa e dell’Estremo Oriente il pagamento in contanti è quasi sparito a favore di sistemi digitali (carte di credito, piattaforme, app). E tale tendenza è favorita dalle autorità per ostacolare il riciclaggio e l’evasione fiscale.
L’emersione di truffe ed episodi di hackeraggio dei dati, uniti ai grandi progressi tecnologici, ha favorito lo sviluppo di sistemi di pagamento sempre più sofisticati. Il protocollo blockchain è stato ipotizzato per primo da David Chaum, un crittografo americano nella sua dissertazione di PhD nel 1982, ed elaborato praticamente dal (o dai?) mai identificato(i) Satoshi Nakamoto nel 2008, che un anno dopo lancia la prima criptovaluta, il Bitcoin. Le criptovalute rappresentano una nuova forma di denaro: emesse da entità private, sono digitali e permettono transazioni peer-to-peer. Oggi esistono molte centinaia di criptovalute, ma a parte Bitcoin ed Ethereum, che solo ora cominciano ad essere accettati da alcuni esercenti e circuiti di pagamento, le altre circolano solo in maniera limitata ed a scopo principalmente speculativo. A differenza del denaro, nella sua accezione comune, questo tipo di crypto currencies non ha un valore più o meno costante, in quanto non è garantito da istituzioni riconosciute (banche centrali) o da beni reali (es. oro). Il loro sviluppo come mezzo di pagamento generalmente accettato si scontra dunque con questo limite, e sarebbe più corretto definirle “cripto-attività” Per questo motivo, la probabile evoluzione futura dei pagamenti attraverso il protocollo blockchain risiederà negli “stablecoins”. Questa è una criptovaluta garantita 1:1 da un paniere di valute, come nel progetto originario proposto nel 2019 da Facebook, o legata solo ad una divisa (al dollaro, nella nuova versione di Diem, successore di Libra nei progetti del social network). Il protocollo blockchain prevede l’intervento di entità diverse (i cosiddetti “miners”) nei vari stadi dell’emissione e dell’utilizzo di una criptovaluta, rendendo così quasi impossibile l’hackeraggio dei dati. Tuttavia, negli stablecoins, pur essendo mantenuto il protocollo originale, la gestione del “ledger” (libro mastro) sarà solo a cura dell’emittente, con tutte le incertezze legate al mantenimento del legame al paniere/valuta di riferimento da parte del promotore, ed i conseguenti rischi per il pubblico.
È evidente che i pagamenti digitali diventeranno sempre più comuni, anche per le operazioni internazionali. Già esistono piattaforme non limitate da confini geografici, chiamate DCA1 (Digital Currency Area). Sono networks dove i pagamenti e le transazioni finanziarie fra gli aderenti si effettuano solo con la valuta digitale del network, diversa da una divisa ufficiale (o da un paniere di valute) anche se ad essa legata. Per avere un’idea della dimensione che può raggiungere una DCA, basta considerare la cinese Alipay, con 870 mln di utenti e un volume di transazioni trimestrale nel 2019 di circa $ 7.000 mld. Se per le grandi piattaforme di e-commerce emettere una nuova valuta digitale diventerà quasi una necessità, per altri operatori come i social networks sarà un’opportunità legata all’interesse dei propri utenti ad avere a disposizione un mezzo di pagamento e trasferimento fondi facile, sicuro ed economico.
La tendenza all’utilizzo sempre meno frequente del denaro contante ed il numero crescente delle piattaforme di pagamento digitale hanno stimolato le banche centrali a valutare seriamente un intervento diretto in questo settore. Infatti, quando piattaforme private che emettono valute parallele sono promosse da giganti tecnologici con accesso a platee enormi di utilizzatori internazionali, diventano rilevanti per tutto il sistema, e potenzialmente potrebbero anche essere nella condizione di esercitare un potere monopolistico. Per non parlare delle ripercussioni sul futuro del sistema bancario tradizionale e sulla sua funzione di cinghia di trasmissione della politica monetaria. Il dibattito sullo sviluppo di una valuta digitale nazionale (CBDC, Central Bank Digital Currency) è già cominciato da qualche anno: un’indagine della BRI (Banca dei Regolamenti Internazionali) del 2018 su 63 banche centrali ha evidenziato come la maggioranza di esse stessero valutando questa opzione, situazione confermata da un altro sondaggio effettuato dall’OMFIF (Official Monetary and Financial Institutions Forum) e IBM fra luglio e settembre del 2019 su 23 banche centrali. Tale processo sta subendo un’accelerazione: la Cina ha già lanciato un esperimento in tal senso, per ora limitato ad alcune città, ed intende proporre la propria valuta digitale agli atleti ed ai turisti in occasione delle prossime Olimpiadi invernali. Negli Stati Uniti è previsto che a luglio la Federal Reserve di Boston insieme al M.I.T. rendano pubblici i prototipi elaborati per una piattaforma di dollaro digitale. Non è quindi un caso che questo tema continui ad essere ricorrente negli incontri della BRI.
L’affermarsi di nuovi sistemi di pagamento digitale, della blockchain – con le sue ricadute, anche pericolose – e il progressivo sviluppo di divise parallele transfrontaliere fuori dal controllo delle autorità monetarie sono fenomeni che avranno un grande impatto sul futuro, anche sotto il profilo geopolitico. Anche se molto complesso nella sua realizzazione, un rapido sviluppo delle CBDC potrebbe essere un’ottima soluzione per arginare il potere che potrebbero avere un domani gli emittenti privati, mantenendo gli aspetti positivi delle valute digitali: riduzione dei costi, rapidità e sicurezza delle transazioni, facile accesso ad un sistema di pagamenti anche da parte di chi non ha relazioni bancarie (particolarmente in certe aree del mondo), tutela della privacy.
Purché le banche centrali mantengano la loro indipendenza dal potere politico.”
a cura della redazione