Da un sondaggio realizzato nel corso del PKU&Noi del 26 giugno che ha visto la partecipazione di medici, rappresentanti delle Associazioni Pazienti e famiglie PKU, è emerso che il 59% degli intervistati pensa di non essere adeguatamente supportato dal punto di vista psicologico.

Il 57% ritiene che l’uso della telemedicina sperimentato durante gli ultimi 14 mesi sia stato positivo

Ricorre il 28 giugno il PKU Day, la Giornata Mondiale di sensibilizzazione e informazione sulla PKU. Ma di Fenilchetonuria (PKU), una malattia metabolica rara, che nel mondo interessa più di 50.000 persone e che nella sola Italia si stima colpisca 1 bambino ogni 2.581 nati, si parla ancora troppo poco. Si tratta di una patologia, che si presenta fin dalla nascita e che è caratterizzata dalla mutazione di un gene, la fenilalanina idrossilasi (PAH), necessario per il metabolismo della fenilalanina (Phe), un aminoacido essenziale presente in quasi tutti gli alimenti proteici. Questo comporta il seguire una dietoterapia a vita.

 

Lo screening neonatale è stato introdotto in tutto il territorio nazionale a partire dai primi anni ’90. E, da quel momento, la comunicazione della diagnosi avviene alla nascita del figlio: in genere, per i genitori è uno shock. «Le madri e i padri, in questo momento, hanno bisogno che le loro paure trovino ascolto, hanno bisogno di sostegno e di essere accompagnati nella conoscenza della malattia, della sua gestione. Lo psicologo, fin dalla diagnosi, sarà un ponte che collegherà i genitori e lo staff medico che seguirà il figlio, per fare anche il focus su quelle che potrebbero essere le reazioni nascoste di quel momento, per creare empatia tra loro e il curante», premette Chiara Cazzorla, psicologa e psicoterapeuta presso la U.O.C. Malattie Metaboliche Ereditarie, dell’A.O. di Padova.

 

La cura principale della PKU è la dietoterapia, che si dovrà seguire a vita: in cosa consiste? «Nell’esclusione o nella limitazione degli alimenti contenenti l’aminoacido fenilalanina, che si trova nella maggior parte dei cibi ricchi di proteine come carne, pesce, uova, salumi, ma anche pasta e pane comuni. Inoltre, si aggiungono alimenti dietetici speciali a ridotto apporto di proteine e formule con aminoacidi, vitamine e minerali prive di fenilalanina, per poter soddisfare i fabbisogni nutrizionali di chi è affetto da Fenilchetonuria», spiega Alice Dianin, dietista presso l’AOU di Verona, centro regionale per lo screening neonatale, la diagnosi e il trattamento delle malattie metaboliche ereditarie e le malattie endocrinologiche congenite. «L’obiettivo principale della dieta è il mantenimento di valori ematici adeguati, per evitare le complicanze soprattutto neurologiche della malattia e per assicurare crescita e sviluppo motorio e cognitivo normali. Ecco perché va seguita per tutta la vita, sapendo che la dieta è sempre personalizzata, e accuratamente studiata e calcolata secondo i fabbisogni e la gravità della patologia»

 

Soprattutto durante il periodo dell’infanzia, però, seguire la dietoterapia può essere anche un fattore che fa sentire il bambino escluso o diverso a scuola, durante l’ora della merenda o durante le feste di compleanno per esempio. «È fondamentale che i genitori acquisiscano sin da subito gli strumenti per comunicare al meglio con il loro bambino anche questi aspetti. Spiegando, attraverso l’uso di metafore, esempi o immagini che ai più piccoli sono più familiari, il perché delle visite, della dieta, della differenza dei cibi rispetto agli altri, coinvolgendoli nella gestione della malattia cucinando insieme fin dall’inizio, mostrandogli quali sono le farine adatte a loro o come si usano i preparati di miscele aminoacidiche. Questo aiuterà il bambino nel suo processo di autonomia e di autoefficacia. E non solo: lo metterà nelle migliori condizioni di condividere con gli amici o con i compagni il perché della differenza della sua dieta. La differenza, allora, non sarà vista più come un limite, ma sarà una caratteristica», aggiunge Chiara Cazzorla.

 

L’adolescenza, lo sappiamo, è una fase della vita articolata per tutti. E lo è anche per i ragazzi con Fenilchetonuria (e per i loro genitori). Qualche trasgressione alle regole potrebbe esserci, così come la voglia di viaggiare, di studiare all’estero, o di sperimentare quanto non si è ancora sperimentato, dovendo continuare a seguire la dietoterapia e assumendo gli integratori necessari anche fuori casa. «La letteratura ci dice che l’aderenza alla terapia, in questo momento della vita dei ragazzi, può subire un forte scossone. Noi, da un certo punto di vista, ce lo aspettiamo, ed è lì che bisogna rilavorare sui genitori e sui ragazzi: non ci stiamo più rivolgendo a un paziente pediatrico, ma a un adolescente e dobbiamo dargli altri strumenti per gestire la dieta fuori casa, cambiando sia il nostro approccio che quello dei genitori. Inizia il cosiddetto momento della transizione, dall’età pediatrica all’età adulta», osserva Chiara Cazzorla.

 

E se una donna con PKU desidera una gravidanza? «Prima di tutto, va programmata con il centro che la segue», suggerisce Giacomo Biasucci, Direttore dell’U.O. di Pediatria e Neonatologia dell’Ospedale Guglielmo da Saliceto di Piacenza, Centro di Riferimento Regionale per le Malattie Metaboliche Ereditarie. «Già da prima del concepimento, l’attenzione alla dietoterapia dovrà essere ancora più alta, affinché i valori di fenilalanina siano compresi tra 120 e 360 micromoli per litro di sangue.

Valori più alti, anche durante la gestazione, potrebbero creare un danno teratogeno: il meccanismo di biomagnificazione a livello placentare della fenilalanina darà valori ematici di fenilalanina al feto fino al doppio rispetto alla madre, esponendolo a rischi di malformazione cardiaca, micrognazia, ma soprattutto alla microcefalia, ossia uno sviluppo ridotto del cervello che compromette la struttura e le funzioni del sistema nervoso centrale», sottolinea Biasucci.

Si può trasmettere la Fenilchetonuria al bambino? «Questa è una paura frequente delle future madri con Fenilchetonuria, ma la trasmissione della malattia al figlio è possibile solo se anche il partner ne è un portatore sano.

Può però esserci il 50% di possibilità che il bambino sia un portatore sano della malattia.

Il vero problema da gestire, tuttavia, rimane quello della compliance alla dietoterapia degli adulti: la Fenilchetonuria non è una malattia che si vede, o che ha degli effetti visibili nell’immediato quando si sgarra, ma potrebbe averli in un periodo successivo, come difficoltà di concentrazione, di memoria, di calcolo, a titolo di esempio».

 

Quali le novità terapeutiche? «Per tenere sotto controllo l’accumulo tossico di fenilalanina, da alcuni anni è già presente un principio attivo, la sapropterina dicloridrato, utilizzabile in pazienti selezionati.

La novità terapeutica, recentemente approvata anche dall’Agenzia Italiana del Farmaco, è rappresentata dalla terapia enzimatica a base di pegvaliase, un enzima in grado di degradare la fenilalanina, impedendole di accumularsi nell’organismo. Questo farmaco viene somministrato per via sottocutanea,l’iniezione dovrà essere ripetuta per lungo tempo con dosaggio ‘calibrato’ per ogni singolo paziente», risponde Sabrina Paci, pediatra e dottore di ricerca presso l’U.O. Clinica Pediatrica, Neonatologia e Patologia Neonatale dell’ASST Santi Paolo e Carlo, Presidio San Paolo, Università degli Studi di Milano.

Lo possono assumere tutti? «No, i pazienti candidabili vanno accuratamente selezionati, potendo essere utilizzato solo in chi ha più di 16 anni con insufficiente controllo dei valori di fenilalanina plasmatica. Anche se questo non vuol dire abbandonare del tutto la dietoterapia.

È un farmaco molto promettente, che viene già utilizzato con buoni risultati negli USA e in Europa, ed è rimborsato dal sistema sanitario nazionale».

 

a cura della redazione

Written by giovanni47