Il 44% delle donne, contro il 10% degli uomini, si sente penalizzata nei processi di progressione della carriera; solo 1 donna su 3 ricopre un ruolo apicale.
Sia gli uomini (40%) che le donne (33%) ricercano il difficile equilibrio tra vita privata e professionale, a prescindere dalla presenza o meno di figli.
A causa della pandemia da COVID-19, 1 donna su 2 ha rimesso in discussione la propria carriera di medico.
La medicina si fa sempre più rosa, ma nonostante la percentuale di donne medico sia cresciuta negli anni, continua ad esserci una disparità di genere tra i professionisti sanitari in termini di opportunità di carriera, di trattamento ricevuto sul luogo di lavoro e di credibilità agli occhi dei pazienti. Questo è quanto emerge dalla ricerca condotta da Univadis Medscape Italia – il portale di informazione per i professionisti della salute con notizie, strumenti, aggiornamenti e formazione continua per la classe medica – che ha indagato a che punto siamo nel nostro Paese in tema di gender equity in medicina.
Dal sondaggio condotto online tra il 25 maggio e il 15 agosto 2021 su 1.779 intervistati (di cui 999 maschi e 780 femmine) è emerso che la progressione della carriera riscuote un interesse paragonabile tra i due sessi. Nonostante ciò, il genere sembra giocare un ruolo importante, difatti il 44% delle donne si sente penalizzata contro il solo 10% degli uomini. L’impatto sembra attenuarsi nel caso del reddito, forse anche per le caratteristiche del campione, per lo più composto da medici dipendenti o convenzionati con il servizio pubblico, dove lo stipendio non è oggetto di contrattazione individuale.
A rimarcare maggiormente la differenza di genere è il dato che sottolinea come i rappresentanti maschili del campione siano divisi quasi a metà tra chi ha un ruolo direttivo e chi no, fatto che non vale per il sesso femminile: solo 1 donna su 3 ricopre un ruolo apicale, mentre circa il 48% riferisce di aver personalmente subito un trattamento diverso sul luogo di lavoro perché donna. Questo sentimento risulta preponderante nella generazione X (nate tra 1981 e il 2000), probabilmente più consapevole dei propri diritti rispetto alle generazioni precedenti.
Anche in questioni in cui teoricamente la qualità scientifica dovrebbe essere l’unico metro di giudizio, le donne hanno la chiara percezione di partire svantaggiate: oltre 1 su 5 trova ingiustificate difficoltà a pubblicare nella letteratura scientifica e 1 su 3 a essere invitata a presentare le proprie ricerche in un consesso di colleghi.
Il gender gap viene spesso enfatizzato anche dai pazienti stessi e dai loro familiari: è infatti emerso dall’indagine che le donne medico vengono spesso confuse con altri professionisti sanitari – come ad esempio gli infermieri – e hanno una minore credibilità agli occhi del malato, del loro accompagnatore e a volte dei colleghi uomini, specialmente se il rapporto lavorativo è occasionale.
“La mancata credibilità agli occhi dei pazienti e dei propri colleghi, oltre all’esistenza di stereotipi di genere che portano a sottostimare le caratteristiche personali realmente necessarie per svolgere una particolare funzione, generano nelle donne medico un sentimento di frustrazione che si aggiunge alle difficoltà già note di queste professioniste” – commenta Daniela Ovadia, Coordinatore Editoriale Univadis Medscape Italia e autrice del report. “Essere chiamate ‘signorina’, piuttosto che con il proprio titolo lavorativo, dimostra come sia necessario un cambio di passo per dare una reale possibilità alle professioniste di dedicarsi alla carriera senza dover sacrificare la vita privata e gli affetti”.
Ma in cima alle preoccupazioni dei medici italiani, a prescindere dal genere, c’è la ricerca di un difficile equilibrio volto a conciliare vita privata e professionale – indicata dal 40% dei maschi intervistati e dal 33% delle femmine, con una differenza modesta tra chi ha figli e chi non ne ha. In questo contesto la pandemia ha aumentato la pressione associata a questo lavoro influendo sul modo in cui i medici vedono la propria professione, con 1 donna su 2 che è stata spinta a rimettere in discussione la propria carriera di medico per motivazioni quali l’eccessiva richiesta di sacrifici senza riscontro economico, l’elevato livello di rischi e la necessità di dare priorità alla famiglia e ai propri affetti.
Il COVID-19 ha però solo evidenziato alcune delle lacune del sistema lavoro che hanno portato negli anni ad una disuguaglianza sistemica: infatti, il 51% delle donne medico ha rinunciato ai figli per la carriera o ne ha avuti meno di quelli che desiderava, contro il 18% dei medici uomini, dato avvalorato anche dalle stime ISTAT che confermano che il 45,4% delle donne di età compresa tra i 18 e i 49 anni è senza figli. Come emerso dal report, malgrado un’apparente equa distribuzione di imprevisti ed emergenze, è la donna medico a occuparsi della gestione dell’ordinario familiare, sentendosi spesso in difficoltà a causa degli orari di lavoro. Da sottolineare anche la scorretta percezione della gestione della famiglia tra donne e uomini, con i secondi più convinti di essere protagonisti di un impegno paritario, più di quanto non percepiscano le donne che hanno risposto al sondaggio.
a cura della redazione