Sono circa 20 milioni – 2 milioni e mezzo in Italia1 – le persone che in Europa convivono con malattie immuno-mediate come la psoriasi e l’artrite psoriasica.
Queste due condizioni hanno un legame comune: uno squilibrio nel sistema immunitario che porta all’infiammazione cronica. La convivenza con queste malattie ha un impatto importante sulla qualità della vita: sono debilitanti, croniche, possono provocare dolore con incapacità di svolgere le attività quotidiane e in molti casi si accompagnano a comorbidità, tra cui la depressione.
La psoriasi (PsO) è una malattia cronica recidivante della cute che colpisce circa 2 milioni di persone in Italia2. È causata da un’infiammazione immuno-mediata ed è caratterizzata da lesioni cutanee eritemato-desquamative che possono presentarsi in alcune aree limitate o estendersi su tutto il corpo.
«Non esiste una cura per la psoriasi, ma esistono terapie grazie alle quali è possibile tenere sotto controllo le manifestazioni cliniche della malattia, consentendo lunghi periodi di remissione. Più della metà delle persone affette da psoriasi, inoltre, convive con altre malattie, come il diabete, alcune patologie cardiache e la depressione», spiega Ketty Peris, Professore Ordinario di Dermatologia, Direttore UOC Dermatologia, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma e Presidente della Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse – SIDeMaST.
«Fino al 30 per cento delle persone con psoriasi può sviluppare nel tempo artrite psoriasica. Nonostante la causa dell’artrite psoriasica sia sconosciuta, si ritiene che la predisposizione genetica, il sistema immunitario alterato e alcuni fattori ambientali abbiano un ruolo nell’insorgenza della malattia» prosegue Peris.
L’artrite psoriasica (PsA) è una malattia infiammatoria cronica immuno-mediata che colpisce circa 500.000 persone in Italia3. Provoca dolore, rigidità e gonfiore delle articolazioni; insorge comunemente tra i 30 e i 50 anni, ma può svilupparsi a qualsiasi età. Nei pazienti affetti da artrite psoriasica, spesso sono presenti comorbidità come obesità, malattie cardiovascolari, malattie infiammatorie intestinali, ansia e depressione.
«Oggi, con l’avvento di terapie mirate a particolari target immunologici, quali citochine, è possibile raggiugere la remissione clinica o, in alternativa, una attività minima di malattia. Questi due obiettivi terapeutici sono di fondamentale importanza per i pazienti, in quanto consentono un miglioramento della qualità di vita», dice Ennio Lubrano, Professore ordinario di reumatologia, Università degli Studi del Molise, Campobasso.
Sviluppato da Janssen, guselkumab è il primo anticorpo monoclonale interamente umano che si lega selettivamente alla subunità p19 dell’IL-23 e inibisce la sua interazione con il recettore. L’IL-23 è un importante fattore patogenetico delle malattie infiammatorie immuno-mediate come la psoriasi a placche e l’artrite psoriasica attiva. Guselkumab, legandosi alla subunità p19, che è specifica di IL-23, blocca i suoi effetti, senza influenzare quelli di altre citochine infiammatorie come, per esempio, IL-12 e IL-17 che sono, invece, importanti per la difesa verso i patogeni.
Ciò significa che anche quando viene inibita l’IL-23, le risposte immunitarie possono comunque mettersi in atto. Guselkumab è approvato come farmaco soggetto a prescrizione medica in Unione Europea, Stati Uniti, Canada, Giappone e in numerosi altri paesi per il trattamento di pazienti adulti con psoriasi a placche da moderata a grave che siano candidati a una terapia sistemica. Inoltre, guselkumab, da solo o in combinazione al metotrexato, è approvato nell’Unione Europea, negli Stati Uniti, Canada, Giappone e numerosi altri paesi in tutto il mondo, per il trattamento dell’artrite psoriasica attiva in pazienti adulti che hanno avuto una risposta inadeguata o che hanno mostrato intolleranza a una precedente terapia con farmaci antireumatici modificanti la malattia (DMARD). In Italia, guselkumab è attualmente rimborsato dal Sistema Sanitario Nazionale nell’indicazione psoriasi a placche.
«La scoperta di IL-23, come meccanismo immunologico specifico della psoriasi e dell’artrite psoriasica, ha permesso negli ultimi anni di sviluppare farmaci molto precisi contro questo bersaglio», spiega Carlo Francesco Selmi, Responsabile UO Reumatologia ed Immunologia Clinica, IRCCS Istituto Clinico Humanitas, Rozzano e docente di Humanitas University.
«Per questo motivo la disponibilità di un farmaco in grado di bloccare selettivamente IL-23, già utilizzato con efficacia dai colleghi dermatologi per la cura della psoriasi, permetterà un trattamento delle diverse manifestazioni dell’artrite psoriasica con un profilo di sicurezza ora ben chiaro.
I dati a due anni presentati di recente al congresso della Società americana di reumatologia confermano la stabilità della risposta sia sull’infiammazione delle articolazioni sia su quella di altre sedi di malattia. Alcuni studi, inoltre, suggeriscono che il blocco di IL-23 potrebbe migliorare anche l’astenia ed il dolore associati all’artrite psoriasica. Alla luce di questi dati le raccomandazioni GRAPPA ed Europee pongono guselkumab anche in prima linea, al pari di farmaci che colpiscono TNFalfa e IL-17, nel trattamento dell’artrite psoriasica candidata a terapia biologica», aggiunge.
«L’inibizione della IL-23 impedisce la riattivazione delle cosiddette cellule T della memoria residenti, le cellule TRM, cellule che si trovano nella cute di pazienti trattati con qualsiasi farmaco efficace nella psoriasi.
Oggi, però, sappiamo che la presenza di un fattore trigger e di IL-23 genera la riattivazione delle cellule TRM con conseguente produzione e liberazione di citochine pro-infiammatorie», chiarisce Giovanna Malara, Direttore UOC di Dermatologia, Grande Ospedale Metropolitano di Reggio Calabria. «Una recente sotto analisi dello studio Eclipse ha dimostrato che l’inibizione della IL-23, e non della IL-17, impedirebbe questo fenomeno e pertanto ridurrebbe significativamente i flare di malattia», dice ancora.
«In Janssen, la ricerca immunologica è sempre stata all’avanguardia», dice Loredana Bergamini, Direttore Medical Affairs Janssen Italia.
«Dall’avvento delle terapie biologiche, avvenuto più di 30 anni fa, abbiamo sviluppato il primo anticorpo monoclonale mirato al sistema immunitario, fornendo ai pazienti una soluzione efficace che poteva agire in maniera importante sulla sintomatologia.
Abbiamo, quindi, continuato ad ampliare le nostre conoscenze sul processo infiammatorio e, grazie a questo, siamo stati i primi a sviluppare terapie che intercettano nuovi percorsi infiammatori e che possono migliorare sostanzialmente la vita dei pazienti. Le nostre scoperte hanno cambiato la vita di milioni di persone in tutto il mondo e continuiamo a lavorare per cure sempre migliori, capaci di arrestare e persino curare le malattie immuno-mediate», conclude.
a cura della redazione