Riceviamo e volentieri pubblichiamo il Comunicato dell’Adam Smith Society sui fondi sovrani.
Nel 1976 Lafico (Lybian Arab Foreign Investment Company) sottoscrisse integralmente un aumento di capitale di Fiat, allora in crisi, acquisendone circa il 10% del capitale e diventando il secondo azionista dopo la famiglia Agnelli. La partecipazione crebbe al 14% nel 1982 per la conversione integrale di un prestito convertibile, e venne ceduta nel 1986, moltiplicando per sette il capitale inizialmente impegnato. Questo è stato il primo investimento significativo di un fondo sovrano in Italia.
I fondi sovrani (Sovereign Wealth Fund – SWF) sono organizzazioni per gli investimenti controllati da uno Stato. Non hanno passività a lungo termine (come i fondi pensione), ed investono a medio – lungo termine gli attivi derivanti principalmente dai ricavi legati all’esportazione di materie prime o dalla bilancia delle partite correnti.
L’obiettivo è di controbilanciare la volatilità dei mercati delle commodities, evitare la sindrome olandese, avere riserve per periodi di crisi, e promuovere una maggiore influenza nel teatro geopolitico, questo soprattutto (ma non solo) da parte di nazioni in via di sviluppo o di industrializzazione recente.
Sono una realtà non proprio recente (il primo fondo è stato istituito dal Kuwait nel 1953), ma che dalla seconda metà dagli anni ’10 è grandemente cresciuta: ad oggi vi sono 169 fondi sovrani (il 35% in Asia e Medio Oriente) con un patrimonio complessivo di quasi $ 11.000 mld (il 77% di proprietà dei fondi asiatici e mediorientali), quando nel 2005 era di $ 1.500 mld e di $ 3.000 nel 2007. Oggi sono fra i principali investitori istituzionali, non solo sulle borse internazionali, ma anche sul mercato immobiliare e del private equity.
Da quando la loro crescita è diventata così sostenuta, alcuni osservatori hanno espresso perplessità relative all’impiego di grandi masse di capitali di proprietà di governi anche di nazioni non fra le più sviluppate e con regimi frequentemente autoritari, che potrebbero incidere sulla fluidità del mercato finanziario ed essere eventualmente utilizzati per pressioni politiche.
La governance e la trasparenza degli SWF sono diventati motivo di preoccupazione per vari consessi internazionali, inclusi il G7 ed il G20, e di conseguenza nel 2008 il Fondo Monetario Internazionale ha promosso una conferenza cui hanno partecipato i rappresentanti dei principali fondi sovrani e dei Paesi nei quali più si erano concentrati gli investimenti. Il risultato è stata la pubblicazione di un elenco di principi e best practices, i Santiago Principles, ma non si è riusciti ad arrivare a renderli obbligatori per la contrarietà manifestata dai governi proprietari dei fondi soprattutto in tema di trasparenza degli investimenti.
Se durante l’adolescenza dei fondi sovrani gli investimenti erano tendenzialmente delegati a money managers internazionali ed erano concentrati sui titoli quotati delle principali aziende delle nazioni più sviluppate, al sopraggiungere della maturità i SWF hanno cominciato a gestire direttamente gli attivi, per cercare di incrementarne la redditività e ridurre i costi di gestione. Hanno assunto gestori qualificati dalle grandi case di gestione, e diversificato gli investimenti anche sul mercato interno, in altri Paesi in via di sviluppo, ed in titoli non quotati (direttamente o tramite la partecipazione a fondi di private equity).
Con riguardo alla diversificazione degli investimenti sul mercato domestico preoccupazione è stata espressa1 per gli evidenti i rischi di destabilizzazione della gestione macroeconomica e del conflitto di interessi fra i tradizionali investimenti pubblici e gli obiettivi di creazione di ricchezza futura slegata dall’andamento economico del Paese, e del rischio di un utilizzo politico per garantire sostegno ad “amici” a fronte di corruzione.
In termini più generali, un aspetto significativo legato all’operatività dei SWF, in considerazione della loro massa di risorse, riguarda l’influenza che possono esercitare sulle società oggetto degli investimenti, soprattutto nel caso di acquisti significativi, nonostante il loro ruolo sia – almeno ufficialmente – quello di investitori passivi con obiettivi finanziari di lungo periodo.
Il caso più evidente è quello del GPEG norvegese, il più grande fondo sovrano del mondo con risorse superiori a $ 1.300 mld; non solo può incidere sull’andamento borsistico delle aziende nelle quali investe, ma agendo anche da ‘azionista attivo’, può influire sulla scelta degli amministratori e sulla governance. In questo caso, la presenza di questo tipo di azionista non preoccupa, ed anzi può risultare di stimolo per i manager e tutelare maggiormente i vari stakeholders, considerati l’esistenza di un attento comitato etico con ampi poteri, di procedure di investimento e di controllo molto trasparenti, ed il livello della democrazia dello Stato proprietario.
In altri casi – dove la gestione del fondo è più opaca e l’influenza politica più evidente, come nel caso del CIC cinese, il secondo fondo sovrano al mondo per dimensione – la sua presenza può mettere in discussione la libera gestione aziendale, e non solo; questo aspetto risulta ancora più preoccupante nel caso di investimenti in società non quotate, o quando riguarda imprese attive in determinati settori.
La crescita e l’evoluzione del modus operandi dei fondi sovrani, sia in termini degli attivi oggetto del loro interesse e della loro collocazione geografica, sia per la sofisticazione che applicano nei loro interventi (a volte tramite società interamente controllate, direttamente o per mezzo di fiduciari, in Paesi diversi da quelli originari) rende questi operatori soggetti sempre meno trasparenti anche nei loro obiettivi.
Sono ormai diventati strumenti di soft power molto efficaci; considerando il fatto che il totale degli attivi dei fondi in Nord America, Europa ed Oceania sono circa un quarto di quelli in Asia e Medio Oriente, e che la presenza in queste due ultime aree geografiche di sistemi politici autoritari è molto frequente, sarebbero auspicabili nuove iniziative sulla falsa riga di quella del FMI di 14 anni fa, ma più incisive e vincolanti.
Non sono ottimista.
a cura della redazione