Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo pezzo dell’Adam Smith Society
“Uno degli accadimenti non spiegati da alcuna disciplina scientifica od umanistica riguarda la fascinazione che l’umanità ha da sempre avuto, in tutto il mondo e fin dalle prime civilizzazioni, per un metallo che si manifesta spesso sotto forma di sassolini, neanche tanto lucenti, in qualche corso d’acqua: l’oro.
Ed il fenomeno è tanto più bizzarro se si considera il suo utilizzo fin dalle epoche più remote, in culture sparse ai quattro angoli del mondo che difficilmente avevano avuto possibilità di incontrarsi.
La sua rarità, le sue caratteristiche fisiche – è inossidabile, non si corrode, è estremamente malleabile, si può facilmente lavorare e mescolare ad altri metalli quali argento e rame per alterarne il colore – oltre alla sua lucentezza, hanno reso l’oro un metallo adatto alla creazione di monili e oggetti di culto fin dalla sua scoperta, ed un simbolo di potere, ricchezza ed immortalità.
Sembra che i primi usi dell’oro risalgano al 4000 a.C., quali artefatti di una civiltà dell’attuale Europa Orientale; sono stati trovati gioielli di squisita fattura risalenti a circa mille anni dopo attribuiti alla civiltà dei Sumeri, mentre alla civiltà minoica è attribuita la fattura della prima collana fatta con un filo d’oro. In Egitto fin dal 3000 a.C. si facevano gioielli, e cinquecento anni dopo venne perfezionata la fattura della filigrana.
Nell’America Latina, i primi manufatti sono stati trovati negli altopiani andini nel nord del Perù e risalgono alla cultura Chavin, risalente a circa il 1000 a.C. . In Cina i primi documenti che testimoniano l’uso dell’oro (ridotto in fogli sottili e applicati ad oggetti decorativi) risalgono all’epoca della dinastia Shang (ca. 1500-1050 a.C.), ma il suo uso nella preparazione di medicinali sembra risalire al millennio precedente; per quanto concerne l’Asia Centrale, recentemente sono stati ritrovati nel Kazakistan Orientale manufatti in oro, attribuiti alla cultura Saka (ca. 900 – 200 a.C.).
Barre di metallo, oro compreso, sono state un mezzo di scambio fin dagli inizi del primo millennio a.C., ed è solo intorno a metà di questo periodo che nella Lydia (in Asia Minore) vengono coniate le prime monete d’oro con effige da parte del re Creso.
Nel Basso Medioevo le monete d’oro venivano utilizzate principalmente per il commercio internazionale o per operazioni di grande valore, mentre l’argento era il metallo alla base delle monete di uso corrente.
Il grande incremento degli scambi commerciali internazionali avvenuto nei secoli successivi aveva creato un problema nei pagamenti delle merci, per il differente peso delle diverse monete auree locali; nel XIX secolo venne quindi progressivamente abbandonato il sistema bimetallico a favore di una sola moneta in oro di peso abbastanza uniforme, il “gold standard”.
Questo divenne la base del sistema monetario internazionale dopo il 1873, favorendo il commercio, gli investimenti e l’indebitamento grazie ad una stabilizzazione del rapporto fra i prezzi internazionali. Abbandonato da quasi tutti i Paesi a seguito della grave depressione successiva alla Grande Guerra per l’ostacolo che un sistema di cambi fissi imponeva alle politiche espansive necessarie, il gold standard diventò la base degli accordi monetari decisi a Bretton Woods nel 1944, poi cancellati dal Presidente Nixon nel 1971.
Ai giorni nostri permangono motivazioni per l’attrattività dell’oro; anche se la fine della convertibilità del dollaro ne ha sancito l’abbandono quale àncora dei rapporti commerciali e finanziari, la sua caratteristica di bene universale, cioè il cui valore, e prezzo, è riconosciuto globalmente ne fanno un mezzo di garanzia finanziaria difficilmente sostituibile, anche perché, essendo un bene reale, non è soggetto a svalutazioni legate alla credibilità di un debitore; è anche per questo motivo che molte Banche Centrali detengono una parte – a volte significativa – delle proprie riserve in lingotti di questo metallo.
Al di là dell’aspetto ornamentale ed estetico, mi sembra evidente che la scelta dell’oro quale metallo principe per la realizzazione dei gioielli rispecchi anche un desiderio di possedere “ricchezza”, cioè un bene che in caso di emergenza possa rappresentare facilmente una risorsa economica, giustificando quindi la spesa voluttuaria. E la prassi inveterata da tempi immemorabili in ogni cultura del regalo di valore in occasioni speciali della vita, a volte simbolica come nel caso della fede nunziale, penso tragga origine proprio dal desiderio di contribuire ad una sicurezza patrimoniale.
Fino a circa metà degli anni ’70 dello scorso secolo l’investimento in oro era possibile solo tramite oggetti e monete, la cui purezza non era però completa per motivi produttivi o di conio; con la liberalizzazione del mercato negli Stati Uniti nel 1975, in India nel 1990 ed in Cina nel 2005, e la caduta generale di vincoli commerciali o fiscali nel commercio di questo metallo, si è aperto il mercato dei lingotti (puri al 999,9‰), degli strumenti finanziari ad essi legati (futures ed ETF) e loro derivati (opzioni, piani di accumulo, …), che hanno permesso l’investimento senza però dovere sostenere il costo della custodia del bene, allargandone la platea degli investitori.
Gioielleria a parte, l’oro è un buon investimento, o è davvero una reliquia del barbarismo, come ebbe a scrivere J.A. Stevens sul New York Times nel 1873? È liquido ma non paga interessi; la sua performance in termini di incremento del proprio valore non è migliore delle alternative, né l’investimento finanziario è di sostegno allo sviluppo economico. Eppure, in un’ottica di medio-lungo periodo credo che dovrebbe far parte di un portafoglio prudente: è provato che rappresenta un hedge contro l’inflazione, ed il suo valore tende ad incrementarsi particolarmente in periodi di forte incertezza politica od al manifestarsi di cigni neri, cioè di accadimenti imprevedibili che spesso possono avere effetti devastanti sul proprio patrimonio.
Viviamo in un’epoca nella quale il passato sembra non esistere (cancel culture), in un mondo che appare trasformarsi verso aspetti sempre più virtuali (l’universalità della moneta fiduciaria e di quella elettronica, lo sviluppo delle criptovalute, il meta-verso, …). Mi sembra comprensibile quindi la resilienza di un bene reale, da sempre ovunque considerato prezioso, oggi facilmente vendibile ad un valore uguale in tutto il mondo.
Una concreta àncora di sicurezza per tutti, dalle Banche Centrali all’uomo comune”.
a cura della redazione