Riguardano oltre 100mila donne in Italia, in gran parte in età giovane e fertile, con un impatto particolare sulla condizione femminile. Ma le terapie ci sono e, se gestite correttamente, non influiscono sulla possibilità di avere una gravidanza e sulla salute del bambino
“Colpiscono indistintamente uomini e donne – almeno in termini percentuali -, sono malattie croniche e le più diffuse sono la colite ulcerosa e la malattia di Crohn: sono le Malattie infiammatorie croniche intestinali, o IBD (Inflammatory Bowel Disease)”, dichiara la Dr.ssa Fabiana Zingone, Ricercatore di Gastroenterologia U.O.C. Gastroenterologia Azienda Ospedale Università di Padova, “Colpiscono in particolare tra i 20 e i 40 anni, e questo fa sì che la sfera riproduttiva della donna ne possa essere particolarmente impattata”.
Se ne è parlato nei giorni scorsi nel Convegno “L’universo femminile nelle IBD”, che si è svolto a Padova il 14-15 ottobre, con il patrocinio di Università degli Studi di Padova, DISCOG – Dipartimento di Scienze Chirurgiche Oncologiche e Gastroenterologiche dell’Università degli Studi di Padova, AMICI Onlus – Associazione Nazionale per le Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino, e con il contributo non condizionato di Janssen Immunology.
“Un’occasione fortemente sostenuta dell’Università di Padova, molto sensibile ai temi della donna”, sottolinea la Dr.ssa Zingone, con lo scopo di fare il punto sugli aspetti di queste patologie che impattano sin dalla giovane età sulla vita della donna, e di sensibilizzare l’attenzione della medicina, ma anche della popolazione, a cogliere i primi segnali di queste malattie per promuovere la diagnosi precoce e poterle controllare meglio.
Si tratta di patologie ancora relativamente poco diffuse, “in Italia abbiamo circa 250.000 pazienti che ne sono affetti, con un’equa ripartizione tra uomini e donne, e una prevalenza di circa lo 0,3 per cento della popolazione”, dichiara la Prof.ssa Fabiana Castiglione, Professore Associato di Gastroenterologia, Direttore UOSD Terapie avanzate delle malattie infiammatorie croniche intestinali – Università degli Studi di Napoli Federico II.
Ma il loro impatto, soprattutto sulle donne, può essere molto importante. “Non solo perché”, prosegue la Prof.ssa Castiglione “negli ultimi decenni si è assistito a un forte incremento di incidenza in generale di queste patologie, ma soprattutto perché il loro picco di incidenza è tra i 15 e 40-45 anni, quindi proprio nell’età riproduttiva della donna”. Da qui, spesso, la preoccupazione che possano influire negativamente sulla fertilità, sulla gravidanza, sulla salute del feto, sull’allattamento.
Molte paure che è necessario affrontare, anche nel dialogo tra medico e paziente, perché – e questa è la notizia – le terapie e la loro corretta gestione possono consentire alla paziente che ne è affetta di vivere senza preoccupazione le varie fasi della propria vita di donna.
“Si tratta di malattie che, essendo una condizione cronica, possono influire su diversi aspetti della vita riproduttiva della donna, che vanno dalla fertilità, alla gravidanza, al post gravidanza”, dichiara la Dr.ssa Zingone, “Impattano sulla sfera sessuale della donna, con difficoltà che possono essere correlate alle fasi di attività di malattia, a fattori psicologici, e alla malattia perianale”.
Poiché sono malattie croniche, accompagnano il paziente tutta la vita, sottolinea la Prof.ssa Castiglione, “L’impatto è significativo, da un lato per le terapie che possono richiedere farmaci immunosoppressori e biologici, e dall’altro perché spesso è necessaria la chirurgia, soprattutto nel caso della malattia di Crohn, con interventi, anche in età giovanile, che riguardando la zona addomino-pelvica, andando ad impattare su aspetti fondamentali, come la fertilità, sia sul piano psicologico, sia su quello anatomico”.
La chirurgia è sicuramente uno degli elementi che impatta di più, ma molti sono i fattori legati a queste patologie che possono condizionare la vita riproduttiva di una donna. In primo luogo, il fatto di avere una malattia cronica e il timore di trasmettere la malattia ai figli.
E qui c’è un primo importante punto da sfatare: “Queste malattie non sono ereditarie: c’è una familiarità, il che significa che in una famiglia può esserci maggior rischio di contrarle rispetto alla popolazione generale, ma non sono malattie ereditarie”, sottolinea la Prof.ssa Castiglione, “Una paura questa che, con un counselling adeguato, si riesce ad annullare”.
Il secondo timore importante che hanno le pazienti – forse quello più radicato – è legato alla terapia farmacologica e all’effetto dei farmaci usati per l’IBD sulla gravidanza.
“Un messaggio quello sulla sicurezza dei farmaci che invece è importante trasmettere”, dichiara la Dr.ssa Zingone, “perché è spesso una delle maggiori preoccupazioni delle pazienti, sia nella fase di concepimento, che durante la gravidanza, che nel post gravidanza.
Il timore principale è quello di poter danneggiare il feto con l’assunzione dei farmaci. In realtà la maggior parte dei farmaci che vengono utilizzati sono assolutamente sicuri in gravidanza e anche durante l’allattamento”. Un timore, quello relativo ai farmaci, che molto spesso hanno anche i medici che hanno in cura le pazienti, medici di medicina generale, ginecologici e altri specialisti che intervengono nella gestione.
“Mi riferisco” – sottolinea la Prof.ssa Castiglione “alla mesalazina, al cortisone (a dosaggio ovviamente adeguato e non per periodi lunghi), a molti farmaci biologici. Si tratta di farmaci sicuri in particolare nei primi sei mesi di gravidanza.
Poi, poiché gli anticorpi monoclonali attraversano la placenta nel terzo trimestre di gravidanza, si preferisce, solo in quella fase, interrompere la terapia per riprenderla nel post-parto.
Per questi motivi, è fondamentale trasmettere un messaggio alle pazienti donne: è molto più importante programmare una gravidanza quando la malattia è in remissione e controllata dalla terapia farmacologica, piuttosto che affrontare una gravidanza con la malattia attiva senza assumere i farmaci.
Non è pericolosa la terapia, ma è pericoloso, per il feto e per la donna, affrontare la malattia quando c’è infiammazione attiva o severa”.
La gestione della terapia farmacologica e della patologia è una chiave fondamentale rispetto a varie fasi e aspetti della vita della donna.
Ciò vale come detto per la gravidanza, ma anche per la condizione di fertilità, rispetto alla quale, sottolinea la Dr.ssa Zingone, “gli studi ci dicono che c’è effettivamente una riduzione, che è però soprattutto correlata alle fasi di attività della malattia. E anche qui il messaggio è che se la malattia è ben controllata, questo può avere un effetto favorevole, anche rispetto alla fertilità”.
E questa gestione corretta sul piano farmacologico è utile anche quando l’età avanza e sopraggiungo la menopausa e l’invecchiamento. “Alcuni farmaci, come il cortisone, sono estremamente attivi, nel senso che hanno un potere antinfiammatorio che si esplica in maniera rapida ed estremamente efficace”, spiega la Prof.ssa Castiglione, “Il cortisone però va utilizzato solo nelle fasi acute, e solo, in genere, in una prima fase di malattia, per lasciare il posto poi, in fasi successive di riacutizzazione, a farmaci che non hanno gli effetti collaterali del cortisone nel lungo termine.
Questo è molto importante perché per esempio l’osteoporosi, che in genere tende a manifestarsi nelle donne in menopausa, può essere accentuata da una terapia steroidea prolungata.
E proprio per questo è importante gestire la malattia in modo corretto dal punto di vista farmacologico. I farmaci biologici ci aiutano ad evitare la dipendenza dal cortisone, non prolungando così terapie che condizionano situazioni in cui già a livello fisiologico c’è un aumentato rischio di osteoporosi per la donna”.
L’aspetto psicologico è fondamentale nella gestione di queste patologie, in tutti i pazienti, ma ancora di più nelle donne, e si collega alla qualità della vita della paziente trattandosi di una malattia cronica, sulla quale impatta l’idea che l’intervento chirurgico rappresenti un evento molto probabile.
“Sicuramente la sfera psicologica ha un ruolo molto importante”, sottolinea la Dr.ssa Zingone, “La paura di avere delle gravidanze, la paura di una riattivazione della patologia, la paura di avere delle difficoltà dovute ai farmaci in corso di gravidanza: sono tutti aspetti che possono avere un forte impatto sul piano psicologico, ma questi timori delle pazienti si basano spesso invece su informazioni non corrette: sta dunque a noi medici dare una corretta informazione sui vari passaggi, su cosa va fatto e quando va fatto, e rassicurarle”.
“Chi ha in cura queste pazienti deve essere in grado di supportarle facendo comprendere loro che un intervento chirurgico o un farmaco, se somministrato al momento giusto, quando cioè la malattia non è eccessivamente avanzata, aggressiva o complicata, possono riportare a una normalità di vita”, conclude la Prof.ssa Castiglione, “Una diagnosi precoce è uno strumento fondamentale.
È molto importante che i medici di medicina generale e anche gli specialisti colgano i sintomi d’allarme, che in particolare nella malattia di Crohn possono essere subdoli e confusi con altre condizioni non patologiche funzionali, perché una diagnosi precoce consente di poter intervenire quando il paziente può essere sottoposto a terapia farmacologica e non chirurgica, come avviene invece quando la malattia è già in una fase complicata”.
“L’Associazione AMICI ha promosso negli ultimi anni un approccio interdisciplinare e una maggiore attenzione alle esigenze di salute e di vita delle donne con malattie infiammatorie croniche intestinali, con particolare attenzione alle giovani pazienti”, dichiara Enrica Previtali, Presidente AMICI Onlus, Associazione nazionale per le Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino, “L’evoluzione del sistema di cura e dei nuovi farmaci disponibili può garantire alle pazienti con Malattia di Crohn e Colite Ulcerosa una vita normale, ma la medicina di genere deve favorire la conoscenza e quindi la gestione di tutti quegli aspetti tipicamente legati alla donna che possono incontrare l’interferenza della malattia sulla sfera sessuale, sulla fertilità, sull’equilibrio ormonale, sullo stato psicofisico.
In particolare affrontare una gravidanza per una paziente affetta da malattie infiammatorie croniche intestinali significa aver bisogno di maggior supporto e informazioni per assicurarsi una gestazione il più possibile priva di rischiFavorire l’informazione corretta e la conoscenza è uno degli strumenti a disposizione affinché il desiderio di avere un figlio possa essere raggiunto con maggior consapevolezza e serenità, grazie alla collaborazione di team multidisciplinari che affiancano le donne nel momento della pianificazione e del percorso di gravidanza.
Allo stesso modo nelle varie fasi della vita poter contare su percorsi dedicati favorisce un miglioramento della condizione di salute delle pazienti”.
a cura della redazione