Si è spenta all’età di 103 anni Marcella Pedone, la prima fotografa freelance italiana.
Vissuta a cavallo di due secoli, Pedone è stata una pioniera che, lottando contro pregiudizi e stereotipi in un campo all’epoca completamente maschile, è stata testimone dell’evoluzione del Paese, integrandosi tra pescatori e contadini, avventurandosi in fabbriche e cantieri, scalando montagne e spingendosi nelle profondità delle miniere per documentare mondi oggi spariti o profondamente trasformati.
Nel 2017 la fotografa ha donato al Museo la sua banca immagini di 170.000 scatti accumulati in oltre cinquanta anni di attività, insieme alle macchine fotografiche Rolleiflex, Hasselblad, Mamya e Nikon utilizzate per produrli in oltre cinquanta anni di lavoro.
La sua collezione e la sua vita sono da allora diventate oggetto di indagine da parte del Museo e del mondo accademico.
“Marcella Pedone ha anticipato di decenni, con la sua vita personale e professionale, principi che si sono consolidati nella nostra società e costituiscono una fertile visione anche per il futuro. Libertà, autonomia, competenza e passione sono tutti valori che emergono nella sua ultima mostra temporanea Dolomiti Trasfigurate, tenutasi al Museo: uno straordinario regalo culturale”, ricorda Fiorenzo Marco Galli, Direttore Generale del Museo.
Il suo lavoro ha saputo dare un volto, storicamente e artisticamente valido, ai momenti evolutivi del contesto sociale e ambientale italiano nella seconda metà del Novecento. L’obiettivo del Museo è quello di valorizzarlo attraverso lo studio e l’educazione alla cultura visiva. Nel 2021 ha organizzato nei suoi spazi la prima monografica di Marcella Pedone, dedicata al mondo reale e leggendario delle Dolomiti.
MARCELLA PEDONE – LA BIOGRAFIA
Di famiglia toscana ma milanese d’adozione, Marcella Pedone nasce a Roma il 27 aprile 1919.
Dopo aver studiato Lingue a Venezia, viaggia per l’Europa nell’immediato dopoguerra per approfondire il tedesco e le lingue scandinave. In Germania comincia infatti a fotografare e a formarsi professionalmente come reporter, lavorando poi per conto di case produttrici di apparecchi fotografici e pellicole (Rolleiflex e Ferrania) e tenendo conferenze foto-cinematografiche sull’Italia nel circuito delle Università popolari tedesche, le Volkshochschulen.
Per loro organizza proiezioni dei propri scatti accompagnate da canti popolari, che presentano al pubblico tedesco un’Italia in gran parte sconosciuta: un paese prevalentemente preindustriale in via di trasformazione, “raffinato e insieme arcaico”.
Il successo le regala una discreta notorietà e la collaborazione con la più importante agenzia fotografica tedesca: la Bavaria.
Tornata in Italia, avvia una collaborazione con Ferrania, che le affida la sperimentazione e la promozione della sua pellicola a colori: fotografica ma anche cinematografica in 16 mm, che lei testa in diverse condizioni di luce. Dotata di una cinepresa Bell&Howell e libera nella scelta dei soggetti, Marcella Pedone entra in quegli anni nel mondo prettamente maschile della produzione documentaria.
Sola, a bordo della inseparabile roulotte, Marcella Pedone percorre l’Italia in un arco temporale che parte dal dopoguerra ed arriva agli anni più recenti, inerpicandosi su montagne, vivendo tra pescatori e contadini, calandosi nelle miniere e avventurandosi in fabbriche e cantieri per comporre una biografia per immagini in cui natura, società, ambiente, feste, tradizioni, documentano la trasformazione del Paese da società agricola a realtà industriale.
Marcella Pedone racconta innanzitutto un’Italia minore, ai cui riti collettivi riconosce un forte valore identitario: la sua descrizione delle manifestazioni legate alla cultura popolare, che osserva con attenzione etnografica, costituisce spesso l’ultima testimonianza di usanze ormai scomparse.
I suoi soggetti comprendono paesaggi di tutta Italia e anche di paesi esteri, documentando spesso scenari pre-industriali, come avviene per i mestieri e processi tradizionali della penisola.
Pedone ha realizzato reportage sui cavatori di marmo di Carrara, i fonditori di campane in Abruzzo, le miniere di zolfo in Sicilia, le mondine al lavoro nei campi di riso oltre ad aver interpretato, con scatti suggestivi di paesaggi dolomitici, la mitologia popolare alpina.
Anche la produzione cinematografica si muove tra documentazione etnografica e cinema industriale, documentando riti, modi di vivere e lavorare dell’Italia del secondo dopoguerra.
Dopo il fallimento di Ferrania, Pedone intraprende una carriera autonoma e, priva del sostegno economico e produttivo di grandi aziende, si ritaglia un proprio spazio nel settore dell’editoria divulgativa e scolastica, creando una fornitissima banca di immagini, in cui fosse possibile scegliere i migliori soggetti per i vari prodotti editoriali.
La vocazione didattica della sua opera proseguirà infatti con lavori per conto di Aristea, Loescher, De Agostini.
LA COLLEZIONE DONATA AL MUSEO
Nel 2017 Pedone ha donato al Museo la sua banca immagini di 170.000 scatti accumulati in oltre cinquanta anni di attività, insieme alle macchine fotografiche Rolleiflex, Hasselblad, Mamya e Nikon utilizzate per produrli in oltre cinquanta anni di lavoro.
La collezione di Marcella Pedone si presenta con un carattere di organicità eccezionale, per la sua completezza nel testimoniare la professione fotografica documentaristica.
Tra gli elementi donati al Museo spicca il “negozio-archivio” di 170.000 scatti, ma sono stati acquisiti anche sette corpi macchina, tredici obiettivi, diversi set di accessori (cavalletti, lampeggiatori, borse professionali e filtri). La raccolta è completata da attrezzatura per la ricerca sul campo (magnetofoni e microfoni) e per la presentazione pubblica dei materiali (proiettori per pellicole e diapositive, teli e amplificatori).
La collezione mostra bene come la storia della fotografia non possa essere ridotta alla sola storia degli oggetti iconografici, delle ‘fotografie’; né, viceversa, alla mera storia della tecnologia, delle ‘macchine’. La cultura materiale della tecnica fotografica, la poetica dell’autrice, la sua prassi lavorativa e il contesto storico-sociale in cui si è svolta, sono tutte parti di un unico sistema.
L’insieme rivela inoltre informazioni preziose anche su altre storie: la condizione femminile nell’industria culturale, l’editoria scolastica e educativa, la scienza in pubblico (in questo caso l’etnografia ‘popolare’ delle Volkhochschulen) e la cine-fotografia didattica nel secondo dopoguerra.
Come racconta lei stessa, Marcella Pedone si era dotata degli strumenti di produzione che nel suo orizzonte di lavoro, il mercato editoriale scolastico e turistico, “erano il meglio”: per la loro qualità manifatturiera, ma anche per il prestigio professionale collegato.
Pedone ha continuamente aggiornato la sua dotazione in funzione dell’evoluzione della tecnologia e delle richieste del mercato, oltre che della propria personale poetica.
Nella collezione troviamo macchine come la Rolleiflex 3,5A (1951), la Mamya Super 23 (1968) la Hasselblad 500C (1967-80), la Nikon F1 (1971-74), con i relativi set di obbiettivi e accessori. La conquista e il mantenimento della strumentazione professionale avevano costi rilevanti: l’acquisto del set Hasselblad comportò negli anni ’60 una spesa di circa 35 milioni di lire (l’equivalente di circa 350.000 euro).
La collezione permette di osservare in dettaglio come era fatta la ‘bottega viaggiante’ di una fotografa documentarista freelance nel secondo dopoguerra.
La sua acquisizione rimanda ad una tradizione del Museo, che sin dalle origini accosta agli ambiti produttivi industriali su larga scala la ricostruzione di botteghe artigiane in diversi settori, a testimoniare la varietà delle situazioni storiche in cui opera l’homo faber.
LA VALORIZZAZIONE DELLA COLLEZIONE
Il lavoro di Marcella Pedone è stato a lungo misconosciuto: ciò è avvenuto a causa della posizione subalterna sia della fotografia destinata all’ambito editoriale divulgativo rispetto ad altri ambiti più prestigiosi, come per esempio la fotografia pubblicitaria; sia della sua condizione femminile rispetto a quella dei colleghi uomini.
La collezione e la vita di Pedone sono dunque diventate oggetto di indagine da parte del Museo e del mondo accademico.
Dal 2017 è attivo un progetto di ricerca dell’Università degli Studi di Padova, con la collaborazione del Museo, a cura del prof. Mirco Melanco, docente di cinema del reale presso il Dipartimento dei Beni Culturali: archeologia, storia dell’arte, del cinema e della musica. A novembre 2020 è stata pubblicata una monografia a firma di Melanco con il prof. Denis Lotti e la dott.ssa Romina Zanon, prossima autrice di una tesi magistrale dedicata a Marcella Pedone.
Nel 2018 la collezione è stata oggetto di una tesi di laurea triennale sulla conservazione degli archivi fotografici, presso la Facoltà di Scienze e Tecnologie dell’Università degli Studi di Milano (tesi di Andrea Pozzi, relatore prof. Leonardo Gariboldi, correlatori Giovanni Cella e Paola Redemagni del Museo).
Come ha osservato Zanon, l’azione fotografica di Marcella Pedone, sebbene di impostazione artistica, condivide con l’approccio scientifico dell’indagine etnografica diversi elementi del processo: le sue immagini possono dare un volto, storicamente e artisticamente valido, ai momenti evolutivi del contesto sociale e ambientale italiano nella seconda metà del Novecento.
Fin dalle sue origini il Museo conferisce infatti un ruolo di primo piano alla cultura fotocinematografica, con particolare attenzione agli aspetti tecnologici e al loro significato come strumento di documentazione della realtà.
La conoscenza diretta e il valore attribuito a questi aspetti da parte del fondatore Guido Ucelli, è testimoniato dall’attenzione e dalla cura che ha fin da subito riservato alla costituzione dell’archivio fotografico del Museo e dallo straordinario fondo fotografico presente nell’archivio privato.
Ampliare le collezioni relative alla fotografia, fenomeno che rende pienamente conto dello snodo tra arte e scienza, permette di sviluppare con maggiore completezza alcuni temi fondamentali della storia del XX secolo ed è per questo che, tra gli obiettivi del Museo ci sono anche la valorizzazione e l’educazione all’immagine e al rilevante ruolo sociale assunto dalle tecnologie di comunicazione e dalla cultura visiva.
L’impegno in questo senso ha permesso al Museo di affermarsi come interlocutore qualificato in campo fotografico e la nuova sensibilità dimostrata dal Ministero della Cultura, permette di prevedere ulteriori sviluppi futuri
DOLOMITI TRASFIGURATE – LA PRIMA MOSTRA AL MUSEO
Nel luglio 2021 il Museo ha ospitato Dolomiti Trasfigurate, la mostra monografica che la fotografa ha dedicato al mondo reale e immaginario delle Dolomiti.
Un omaggio alla natura e ai miti di una terra in cui il reale e il simbolico si intrecciano nella sperimentazione fotografica della composizione e dei cromatismi.
Un equilibrio estetico e narrativo che trova il suo fondamento nella bellezza dirompente del paesaggio e nella genuinità della vita di montagna, in cui riecheggiano le antiche leggende ladine di cui Pedone si fa interprete attraverso una selezione di 32 opere fotografiche, dall’archivio di immagini donato al Museo.
Accanto alla fotografia di documentazione, Marcella Pedone intraprende anche un percorso più artistico e personale lontano dai tempi e dalle logiche del mercato editoriale, alla ricerca di una propria interpretazione della Natura e della Bellezza.
Una piccola parte di questo suo lungo e proficuo lavoro, è dedicato al mondo reale e leggendario delle Dolomiti, che conosce profondamente e che aveva già valorizzato agli esordi della sua carriera in Germania, quando organizzava “proiezioni musicali di fotografia” per le Università popolari serali, proponendo canti di montagna accompagnati da immagini di paesaggi e tradizioni folkloriche montane.
Marcella Pedone ritorna a quel mondo magico e gli dedica uno sguardo intimo e onirico, diverso da quello adottato precedentemente nelle sue fotografie e in cui lo splendore estetico, l’asprezza e il fascino dei paesaggi si intrecciano a una vita più segreta e profonda, fatta di durezza e fatica ma anche di magia e miti quasi dimenticati.
Per comporre le sue opere, Pedone utilizza una tecnica particolare: attraverso un’attenta progettazione preliminare, sovrappone due o più pellicole a colori, sommando fra di loro ritratti e paesaggi, particolari e panoramiche, talvolta ritoccando cromaticamente i dettagli fino a raggiungere il risultato desiderato.
Compone così un racconto che conduce il visitatore dal mondo reale fino ad una dimensione fiabesca e onirica, in cui convivono pastori e Salvane, coraggiosi Arimanni, abitanti delle selve, Maghi e Ondine che si muovono fra le malghe, i mulini e i castelli dei Monti Pallidi.
Dolomiti Trasfigurate, in ladino Crepes trasfegureded, è la prima rassegna fotografica che il Museo dedica a Marcella Pedone a seguito dell’acquisizione della sua intera Collezione.
a cura della redazione