Riceviamo e volentieri publichiamo le seguenti considerazioni e riflessioni da parte dell’Adam Smith Society:
“In tutti i tempi ed in tutti i luoghi cercare di prevedere il futuro è stato, ed è, un esercizio comune; per gli oracoli e gli sciamani dei tempi andati, per le fattucchiere, gli analisti finanziari ed i centri di ricerca più blasonati contemporanei ipotizzare gli sviluppi nel tempo che verrà è stato un obiettivo che ha permesso di raggiungere potere e ricchezza. Oggi, nonostante la disponibilità quasi infinita di dati e mezzi per elaborarli, l’attendibilità delle previsioni, soprattutto sul lungo termine, non sembrano molto più affidabili dei responsi degli àuguri dell’epoca romana. Ma sotto alcuni aspetti – soprattutto a carattere economico, sociale e politico – la possibilità di avere un quadro di riferimento seppur impreciso per cercare di affrontare gli sviluppi di un mondo futuro è necessario. Un ambito molto studiato, per cercare di impostare politiche che rendano il mondo per le prossime generazioni almeno sostenibile e possibilmente migliore dell’attuale, riguarda gli aspetti demografici, con le preoccupazioni di un aumento eccessivo della popolazione o, all’opposto, di un calo delle nascite. Da un lato le implicazioni legate al sovrappopolamento (esaurimento di sostanze scarse e vitali, crescita dell’inquinamento, aumento della possibilità di conflitti e di epidemie, …); d’altro lato il rischio di popolazioni mediamente sempre più anziane (conflitti generazionali, insostenibilità del welfare state, implicazioni macro-economiche, …).
Il tasso di crescita della popolazione mondiale, dopo una modesta crescita lineare a partire dal XVIII secolo, ha avuto un’impennata dopo il primo quarto del secolo scorso ed ha raggiunto il suo apice negli anni ’60 con un tasso del 2.3%; da allora è in declino, e ci si aspetta che diventi negativo prima della fine del secolo, dopo aver superato – secondo le previsioni dell’ONU – oltre 10.5 mld di individui. Le stime delle Nazioni Unite hanno però il limite di essere basate prevalentemente su dati demografici (nascite, morti, fertilità) per estrapolare il trend futuro, senza prendere in considerazione i meccanismi causali che generano questo trend, e che – in considerazione di proiezioni su un lasso di tempo molto lungo – è ragionevole pensare che possano incidere in maniera significativa e permanente. Questo approccio sarà difficilmente modificato in futuro per la necessaria neutralità dell’estensore nell’includere dati relativi a cause la cui scelta per i singoli Paesi potrebbe essere vista come politicamente orientata. Altri centri di ricerca hanno sviluppato stime sulla crescita della popolazione, includendo anche altri fattori oltre a quelli presi in considerazione dall’ONU. Il Centro Wittgenstein, per esempio, integra la scolarizzazione nei parametri “tradizionali”, sul presupposto, osservato empiricamente, che nel lungo periodo il completamento di cicli di studi riduca sia il tasso di fertilità che la mortalità di una popolazione. The Lancet ha elaborato un modello ancora più vasto, prendendo in considerazione – oltre alla scolarizzazione, soprattutto femminile – anche altri fattori quali la fertilità in funzione al livello di istruzione ed all’accesso ed utilizzo di metodi contraccettivi, oltre ad un complesso modello per il calcolo della mortalità. Questi tre modelli giungono a risultati sovrapponibili per quanto riguarda il passato, ma diversi sugli sviluppi nei prossimi decenni, con la popolazione a fine del secolo a livelli inferiori per Wittgenstein (9.6 mld di persone) e Lancet (8.8 mld) rispetto all’ONU per le scadenze più lontane. Ci sono comunque almeno due caveat in tutte queste previsioni che sono riferite al pianeta intero: nei singoli Paesi ci sono situazioni molto diverse (localizzazione geografica, dimensione, densità della popolazione, situazione socio – economica); inoltre, riguardano un orizzonte temporale di quasi tre generazioni, ed in lassi di tempo così lunghi molte dinamiche possono subire variazioni imprevedibili e consistenti.