Miglior Film, Migliore Sceneggiatura Critics Awards for Arab Films 2024 con Eiman Yousif Siran Riak Nazaar Gomaa Ger Duany

Durata 120’

AL CINEMA DAL 24 OTTOBRE

Con il Patrocinio di

In collaborazione con

Una distribuzione

Log Line

Alla vigilia della secessione del Sud Sudan, Mouna, una donna benestante di Karthoum, provoca involontariamente la morte di un giovane uomo del Sud e, distrutta dal senso di colpa, assume la sua ignara moglie come domestica per aiutarla economicamente e redimere così il proprio peccato.

Con uno stile cinematografico accattivante e incalzante Mohamed Kordofani porta alla luce la storia di un Paese di cui poco si conosce, evidenziandone tutte le criticità salienti come il razzismo radicato e le diversità religiose che hanno alimentato uno scenario politico esplosivo fino a provocarne una irrimediabile frattura interna.

Al tempo stesso, attraverso la storia intima e personale dei suoi protagonisti, Kordofani propone riflessioni su sentimenti universali come l’odio, la disonestà, l’ espiazione e il perdono, evidenziando ancora una volta come, in talune culture, le donne debbano capitolare al patriarcato per sopravvivere e come, la solidarietà femminile sia una strada percorribile per l’ affermazione della propria libertà e indipendenza.

Sinossi

Mouna è una distinta signora di religione musulmana che vive con il marito Arkram a Karthoum.

Per assecondare la richieste di quest’ ultimo e non mettere a repentaglio il proprio matrimonio, Mouna ha dovuto rinunciare alla grande passione della sua vita: quella di cantare in una jazz band.

Un tempo cantante famosa e molto apprezzata, ora solo nascostamente e tramite lezioni registrate riesce a tenere allenata la sua bellissima voce; un modo anche per fronteggiare la solitudine che quotidianamente l’ accompagna, visti i continui impegni di Akram che lo tengono spesso lontano da casa.

Entrambi stanno cercando tenacemente di avere un figlio ma, per problematiche legate alla situazione ginecologica di Mouna, il loro desiderio non è ancora riuscito a concretizzarsi.

Nel frattempo le tensioni nel Paese tra Nord e Sud aumentano, a causa dell’ improvviso decesso in un incidente in elicottero del primo vicepresidente John Garang; scoppiano rivolte anche a Karthoum e la stessa casa di Mouna e Akram viene assediata da manifestanti del Sud.

Recatasi segretamente in un locale per assistere a un concerto della sua ex band, poi annullato a causa delle rivolte, Mouna, al ritorno verso casa, trova la strada bloccata e viene costretta dalla deviazione di percorso ad attraversare una zona popolata da sudanesi del Sud.

Lì, per una distrazione mentre è alla guida, Mouna investe inavvertitamente con l’ automobile un bambino locale ma, anziché scendere a soccorrerlo, intimorita dal contesto esterno fugge a tutta velocità. E questo nonostante le imprecazioni di Santino, il padre del piccolo che, accortosi dell’ accaduto, la invita a fermarsi e a prestare soccorso.

Il giovane sale sulla suo moto e la insegue fino a casa dove Akram, allertato telefonicamente da Mouna del fatto che un uomo del Sud la stava inseguendo, lo attende con un fucile intimandogli di fermarsi. Mouna non fa in tempo a spiegare ad Akram l’ accaduto che, di fronte all’ evidente stato di alterazione di Santino, Akram gli spara senza esitazione, uccidendolo.

Scioccata dall’ accaduto e nell’ incapacità di poter rivelare come sono andate veramente le cose, Mouna si ritrova intrappolata nel vortice di menzogne che viene costruito a protezione di Akram e del fatto che il drammatico evento si sia svolto in un contesto di legittima difesa.

Grazie a contatti personali il caso viene infatti archiviato dalla polizia locale senza che la vittima venga identificata e questo per non dare adito ad alcuno di reclamarne il corpo o richiedere spiegazioni.

Divorata dal senso di colpa e mossa dal desiderio di pagare “il prezzo del sangue” per liberarsi dell’ angoscioso fardello, Mouna inizia una sua personale ricerca per conoscere i familiari delle vittime e verificarne lo stato di bisogno per poterli eventualmente aiutare.

Scopre così che l’ uomo viveva con la giovane moglie Julia e il piccolo Daniel, entrambi costretti ora ad arrangiarsi con espedienti in quanto dipendenti economicamente dal capofamiglia Santino e ora rimasti soli.

Mouna riesce ad avvicinare Julia proponendole di lavorare per lei come domestica: un modo per poterla aiutare senza essere costretta a rivelare né a lei, né ad altri il proprio drammatico segreto.

Ma con il trasferimento di Julia e del piccolo Daniel a casa di Mouna, inizia per quest’ ultima un percorso ad ostacoli che per lei sarà sempre più difficile fronteggiare e al quale sarà sempre più difficile sfuggire.

Un rapporto di improbabile e inconsapevole complicità si innesca infatti tra le due donne in un crescendo che finirà per cambiare per sempre le vite di entrambe.

CAST ARTISTICO
Scritto e diretto da Mohamed Kordofani
Eiman Yousif – Mona
Siran Riak – Julia
Nazar Gomoa – Akram
Ger Duany Majier

CAST TECNICO
Produttore : Amjad Abu Alala, Mohammed Alomda
Fotografia: Pierre de Villiers
Montaggio: Heba Hotman
Colorist: Dirk Meier
Music Producer & Composer: Mazin Hamid
Sound Designer: Rana Eid
Sound Mixer: Rawad Hobeika
Costumi: Simba Elmur
Production Designer: Issa Kandil
Prodotto da: Amjad Abu Alala
Assistente di Produzione: Rua Osman
Line Producer: Samo Hussain
Produzione: Station Films

Una co-produzione con:
Red Star Films, Die Gesellschaft DGS, Klozium Studios, Dolce Vita Films,
Cinewaves Films, Ambient Light, CULT, e RiverFlower

Co-produttori:
Baho Bakhsh, Safei Eldin Mahmoud,Michael Henrichs, Khalid Awad, Mohamed

Kordofani, Marc Irmer, Faisal Baltyuor, Ali Elarabi, Adham El Sherif, e Issraa El-
kogali Häggström

In co-produzione con Mad Solutions, Red Sea, e CANAL+International.
Vendite Estere: MAD Solutions

Note di Regia – Mohamed Kordofani

“Il razzismo praticato per molti decenni dalla maggior parte degli arabi del Nord, dal governo e dal popolo, è stato uno dei motivi principali per cui quelli del Sud hanno scelto la secessione. Ciò è diventato oltremodo evidente quando i risultati hanno rivelato che uno schiacciante 99% della gente del Sud voleva separarsi. Non è possibile che un intero popolo scelga la secessione per qualche altro motivo.

Mi sono reso conto, allora, che in qualche modo anch’io ero responsabile di quella decisione: per tutta la mia vita, a Khartoum non avevo mai conosciuto nessuno del Sud tranne alcune collaboratrici domestiche, come se avessimo praticato l’apartheid sociale.

 

Scrivere questo film è stato per me parte di uno sforzo continuo per sbarazzarmi di quel razzismo ereditato, motivato da un senso di colpa, da un desiderio di riconciliazione e da un appello a farlo tutti, anche se ora potrebbe sembrare tardi.

La riconciliazione non è necessaria solo con la gente del Sud, ma ne abbiamo bisogno  come progetto nazionale per preservare ciò che resta del Sudan e per costruire una nuova identità nazionale che sia orgogliosa dei valori di umanità, convivenza e giustizia invece che di quelli legati alla razza, tribù e genere.

Inoltre, il mio dovere in quanto artista ha reso per me imperativo documentare la storia da un punto di vista sociale anziché politico, il cui quadro espositivo nel film è solo parziale e non completo.

Goodbye Julia è un viaggio difficile attraverso la memoria collettiva dei popoli sudanesi e Sud sudanesi che racconta la normale vita quotidiana di due donne legate tra loro da situazioni sociali e politiche insolite che le hanno segnate fortemente.

La sua narrazione è ispirata alle fasi della riconciliazione e discute temi come il rimorso, la compensazione, la rivelazione, la confessione di colpa e il pentimento per essa.

ll film esamina le dinamiche della complicata interazione tra nordisti e sudisti, così come il conflitto tra progressismo e conservatorismo, nei suoi modelli, e affronta il processo di cambiamento che dobbiamo attraversare per riconciliarci e guarire come persone e come società.

Il film è stato anche piuttosto impegnativo da realizzare, poiché abbiamo dovuto fare i conti con un colpo di stato militare, proteste continue e la mancanza di infrastrutture.

Ma, allo stesso tempo, questa rivoluzione sta cercando di cambiare i concetti prima ancora del regime, il che rende il momento ideale per mostrare il film non solo al pubblico sudanese ma al mondo intero, poiché molte società di tutti i tipi stanno soffrendo in un modo o nell’altro per l’assenza di giustizia e per problemi di convivenza e polarizzazione”.

Intervista al regista

Perché ha deciso di affrontare il tema della separazione tra Nord e Sud nel Suo film?

Il film affronta il concetto di separazione in senso più ampio, non solo la separazione del Sud.

Si occupa anche della separazione di mariti, figli, amici e persone care.

Ma quando si parla di secessione del Sud, penso che sia stata la prova più importante dei problemi di partigianeria in tutte le sue forme e della crisi di identità culturale e religiosa di cui soffre il Sudan.

Si tratta di un appello a mantenere l’unità di ciò che resta del Sudan, che è ancora impantanato in uno stesso dilemma che deve essere gestito a più livelli.

Il più importante dei quali è il livello sociale e il desiderio di riconciliazione come cittadini con l’abbandono di privilegi ingiusti per il bene di una patria migliore per tutti, che richiede di aprire la ferita per pulirla e poi curarla.

Richiede che le persone ne parlino. Questo è il ruolo dell’arte in generale, e del cinema in particolare, poiché è lo strumento più efficace nell’affrontare la coscienza delle società.

Vorrei anche che ciò accadesse prima che fosse troppo tardi e prima che la storia si ripeta. Emarginazione, oppressione, assenza di giustizia, mascolinità, fanatismo tribale, religioso e razzista sono tutti problemi di cui soffre ancora il Sudan e il risultato della loro continuazione è sempre negativo.

Ha qualche preoccupazione visto che ha a che fare con un argomento molto delicato?

Certamente, sono terrorizzato. La paura è inevitabile in queste situazioni; tuttavia la fede nel mio punto di vista e la convinzione dell’importanza e urgenza dell’argomento superano la mia ansia. Questo accadeva prima del conflitto, che è scoppiato il giorno dopo la presentazione del film a Cannes.

Ora, mentre sono preoccupato per la mia famiglia, i miei amici e i miei colleghi in Sudan, temo anche che alcune persone possano decontestualizzare questo film e collegarlo al conflitto tra l’esercito e le Forze di Supporto Rapido. La guerra nel Sud era dovuta al razzismo, all’emarginazione e al fanatismo identitario. Per quanto riguarda ciò che sta accadendo ora, si tratta di una lotta per il potere volta a preservare gli interessi dei singoli individui.

L’esercito è ancora guidato dal comitato di sicurezza che all’epoca degli islamisti proteggeva il deposto Omar Al-Bashir.

Per quanto riguarda le Forze di Supporto Rapido, si tratta di una milizia che si guadagna da vivere grazie alle guerre portate avanti dallo stesso esercito che la combatte adesso.

Entrambi non si preoccupano affatto delle persone e degli interessi del Paese, si preoccupano solo della loro ricchezza.

Qual è stata la sfida più grande che aveva in mente prima di lavorare al film e come l’ha evitata?

L’aspetto più difficile del fare cinema per me è stato bilanciare gli stili del cinema d’essai e del cinema più commerciale.

Non abbiamo cinema di proprietà in Sudan, per cui il pubblico è abituato a Bollywood e Hollywood. Volevo indirizzarmi a loro in un linguaggio che amassero.

Non volevo fare un film capito o visto soltanto dal pubblico o dalle giurie dei festival.

Volevo sviluppare un film che tutti potessero vedere anche quelli che cercavano solo intrattenimento.

Desideravo che fosse emozionante, con una storia misteriosa, dal ritmo incalzante, con musica e un po’ di thriller ma questo non alle spese di una ricerca artistica e senza trascurare argomenti importanti come l’ identità, il razzismo, e il conflitto tra conservatorismo e progressismo, da affrontarsi in modo non trascurato né banale.

Questa combinazione non è facile e comporta molta sperimentazione e sfida, e il film potrebbe infatti rischiare di perdere entrambi i pubblici.

Volevo anche presentare un film con protagoniste donne che soffrono di oppressione sociale, ma nonostante ciò sono forti, interessanti e ammirevoli.

A livello personale, realizzare un lungometraggio richiedeva dedizione e, inizialmente, ero un ingegnere aeronautico che ha lavorato a tempo pieno presso la Gulf Airlines per 16 anni: sebbene l’arte sia sempre stata la mia passione, l’aviazione ha un solido ritorno finanziario e questo ha reso per me difficile abbandonarla, soprattutto avendo due figlie piccole.

Tuttavia, nel 2020 ho deciso di lasciare completamente l’aviazione per concentrarmi sulla realizzazione di questo film e sul sostegno al movimento cinematografico in Sudan. Così sono tornato a Khartoum e ho fondato i Klozium Studios, nei quali ho investito ciò che possedevo e ho partecipato alla produzione di Goodbye Julia in termini di realizzazione e finanziamento, il che ha reso la mia situazione finanziaria molto critica negli ultimi due anni. Lasciare un campo come l’aviazione e fondare una società di produzione, oltre che scrivere e dirigere il mio primo film, sembrava allo stesso tempo un grande rischio e un’avventura spericolata.

Il Cast

Eiman Yousif (Mona)

Eiman è un’ attrice teatrale e cantante sudanese.

Ha recitato in una serie di spettacoli teatrali che hanno sensibilizzato e discusso questioni sociali in Sudan, tra cui il celebre ALF LAILA WI LYLA di Walid Al-Alfi Vocalist e musicista, suona il kanun, uno strumento cordofono a 78 corde della tradizione classica araba, e si è esibita con l’ orchestra Bait Al Oud all’ Opera House del Cairo.

Siran Riak (Julia)

Siran è una top model originaria del Sud Sudan

Ha intrapreso la carriera di modella dopo l’università ed è stata incoronata Ms. Sud Sudan nel 2014 e Ms. Africa/Malaysia nel 2017

Ha sfilato per Bulgari a Dubai, dove ha indossato un abito da 15 milioni di euro.

Modella per numerose case di moda come Tiffany &Co e magazine prestigiosi come Vogue e Bazaar.

Riferimenti Storici

Il film si svolge negli ultimi anni del Sudan come Paese unito e inizia nel 2005 quando, di ritorno da un viaggio in Uganda, muore in un incidente in elicottero John Garang, primo vicepresidente nonché storico leader dell’Esercito di liberazione del popolo sudanese, (SPLM), gruppo armato di opposizione al governo centrale.

Militare di lunga carriera, con la creazione nel 1983 dell’ l’Esercito di liberazione del popolo di Sudan, Garang si era fatto portavoce del desiderio di indipendenza della regione del Sud, incitando tutti i soldati dell’esercito sudanese originari del Sud all’ammutinamento contro il dominio islamico del Nord sul Sud cristiano-animista.

Un’ azione che scatenò la seconda guerra civile sudanese, un conflitto sanguinoso che avrebbe portato ad almeno due milioni di morti in venti anni di guerra.

Le trattative di pace incominciarono unicamente nel 2003: Ali Osman, primo vice presidente sudanese e Garang si incontrarono in privato a Naivasha.

I loro incontri e le loro trattative segrete portarono a un accordo di pace, il “Comprehensive Peace Agree-
ment” (CPA), siglato nel capodanno 2004.

Il CPA rispettava l’idea di un “nuovo Sudan” di cui si faceva portavoce Garang: il potere sarebbe stato diviso equamente tra le due parti del Paese e i due rispettivi partiti più forti (il National Congress Party e il Sudan People’s Liberation Movement di Garang) per sei anni, fino al 2010, e Garang ne sarebbedivenuto vicepresidente oltre ad essere premier della regione autonoma del Sud Sudan. L’ accordo di pace prevedeva inoltre che nel 2011 si sarebbe tenuto un referendum per decidere l’ eventuale separazione del Sud e la creazione di un nuovo Stato indipendente.

Cosa che effettivamente avvenne: con un’ affluenza elevatissima e una schiacciante maggioranza di voti a favore (oltre il 99%) il referendum ha sancito il desiderio di separazione dei sud sudanesi che di lì a breve sarebbero stati espulsi in massa per raggiungere il Sud, sancendo cosi la definitiva divisione politica del Paese.

Il 7 febbraio 2011 il presidente del Sudan, ʿOmar Ḥasan Aḥmad al-Bashīr, ufficializzando i risultati del referendum, ha proclamato la nascita dello Stato del Sud Sudan, divenuto il cinquantaquattresimo stato africano.

Il 9 luglio 2011, dopo un periodo di prova, ne è stata proclamata l’indipendenza, subito riconosciuta dal governo di Khartum e dalla comunità internazionale.

Ma l’ entusiasmo per la separazione è durato poco. Mentre il nord del Paese viveva un periodo di relativa quiete lo “stato più giovane del mondo” del Sud Sudan è stato presto teatro di una guerra civile sanguinosa tra i gruppi delle varie etnie residenti, una guerra che oltre a massacrare i civili, ha lasciato strascichi profondi dal punto di vista dell’impunità per i responsabili di crimini di guerra quali uccisioni di massa, torture e stupri.

Lo stesso sarebbe accaduto a breve nel Nord, con una serie di sommosse popolari che nel 2019 hanno portato alle dimissioni di Omar al-Bashir e dato vita a un periodo di forti instabilità e continui colpi di stato da parte delle forze armate.

 

Nell’aprile del 2023, un ennesimo tentativo di golpe è stato attuato dal generale Mohammed Dagalo, capo di un’organizzazione paramilitare denominata “Forze di Supporto Rapido” (RSF) e creata illo-tempore dal Presidente Omar al Bashir per attuare una pulizia etnica delle popolazioni non-arabe presenti in Darfur.

Questo ha dato inizio a una serie di scontri armati tra l’esercito ribelle e l’esercito ufficiale e scatenato una guerra civile tuttora in corso che rappresenta una delle più gravi crisi umanitarie contemporanee con conseguenze drammatiche per la popolazione dell’intero Paese.

Il Patrocinio di Amnesty International

“Dovrebbe essere la politica a interessarsi di ciò che accade nel cuore dell’Africa e invece è, meritoriamente, il cinema a raccontarci un periodo cruciale della storia del Sudan e del Sud Sudan di questo inizio di secolo: quello dell’indipendenza del secondo dal primo stato. Lo fa con un’opera che tiene il conflitto sullo sfondo per lasciare lo spazio alle due protagoniste, alla riconciliazione tra le loro differenze etniche, religiose e di status economico, alla comune opposizione alla discriminazione e al patriarcato. Ecco perché Amnesty International Italia ha deciso di patrocinare “Goodbye Julia”.

Le due nazioni hanno conosciuto e ancora conoscono periodi difficili: il Sud Sudan, lo stato più giovane del mondo, ha mostrato quanto governare un paese possa dividere ciò che la lotta comune per l’indipendenza univa.

Il Sudan, liberatosi nel 2019 da una lunga dittatura, è tornato nel caos. Amnesty International, con le sue ricerche sul campo e i suoi appelli alla comunità internazionale, agli organi della giustizia e agli stati donatori, continua a sollecitare azioni concrete per salvare le popolazioni civili del Sudan e del Sud Sudan dalle stragi, dagli sfollamenti e dalle carestie”.

Riccardo Noury- Portavoce Amnesty International Italia

Middle East Now – 15° edizione 15 – 20 ottobre 2024, Firenze Middle East Now festival presenta la 15esima edizione a Firenze dal 15 al 20 ottobre 2024, al Cinema La Compagnia, al Cinema Astra, e in altri spazi cittadini, con un pro-
gramma multiforme di eventi, tra cinema, documentari, arte, mostre, food, incontri e progetti culturali in senso più ampio.

 

Il festival – che fa parte del programma 50 Giorni di Cinema a Firenze – da sempre si caratterizza per una forte attenzione all’attualità, al racconto dei fenomeni più nuovi e vibranti delle culture e delle società del Medio Oriente contemporaneo, in un momento come quello attuale in cui il Medio Oriente è drammaticamente più che mai al centro dell’attenzione.

34 titoli in programma, premiati nei migliori festival internazionali, di cui 15 cortometraggi, 12 anteprime italiane, 5 anteprime europee e internazionali. Un viaggio in Afghanistan, Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi, Giordania, Iran, Iraq, Kurdistan, Libano, Marocco,  Palestina, Siria, Sudan, Tunisia, Turchia, Yemen.

Tema del festival 2024 è Ecologies of Resistance: l’invito attraverso il programma cinema, le mostre e i talk, a riflettere su crisi climatica e guerre, due aspetti cruciali dello stato di crisi attuale, e ad approfondire il nostro legame con il mondo naturale, condividere le storie di resistenza quotidiana e provare a promuovere un futuro più equo.

Il Sudan sarà protagonista della Closing Night del festival con l’anteprima italiana del film Goodbye Julia. Un evento speciale organizzato insieme a Satine Film con cui il Festival ha già collaborato con successo in passato ospitando l’ anteprima di Wajib-invito al matrimonio di Annemarie Jacir.

Hanno detto del film…

“Una degna lezione di storia, un thriller morale che con intelligenza e compassione ha il merito di gettare luce sui conflitti di classe, etnici e religiosi che affliggono questo tormentato Stato. Ma ciò che in realtà traspare è molto più coinvolgente, sulla scia di Asghar Farhadi, un nucleo morale pri-vato e di concetto elevato si dipana in fili che rivelano conseguenze sociali e ferite via via più am-pie e profonde”.

Variety

“Un cast eccellente per un film riuscito che testimonia la Storia come un crescendo emotivo personale ad alto rischio in continua evoluzione”

Screendaily

“Un film che sicuramente susciterà interesse verso il cinema del Sudan e le sue storie importanti”

Hollywood Reporter

“Riesce a trovare un perfetto equilibrio tra uno sfondo politico e culturale intelligente e una trama  emozionante e profondamente intima”

Cineuropa

Goodbye Julia farà conoscere al pubblico le questioni sudanesi Global Village Space

“L’intera storia è arricchita dalla bellezza della fotografia e dalla potenza della narrazione, dove l’emozione emerge senza mai sprofondare nel melodramma”.
JMag

“Un’ opera in grado sia di raccontare l’emotività dei personaggi che il difficile contesto sociopoli-tico in cui si muovono con fluidità e naturalezza. Un ottimo esempio di cinema sudanese che col-pisce occhi e cuore”.

Erika Sciamanna – Movieplayer

“Un dramma magnifico, sottile e sorprendente”

Télérama

“Splendidamente interpretato, questo dramma intimo è un inno all’amicizia femminile e alla pos-sibile emancipazione”.

La Croix

a cura della redazione

seguiteci anche con un like su Instagram, nome utente: gio.vanni.acerbi

Written by giovanni47

Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *