“L’indifferenza dei più, la miopia e la sete del profitto di una parte dell’industria sta uccidendo la biodiversità, l’unica ricchezza in grado di salvarci. Il degrado ambientale che stiamo vivendo è causa di povertà, costringe milioni di persone a migrare e concorre a innescare conflitti” commenta Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia, in occasione della Giornata mondiale della biodiversità, che ricorre il 22 maggio e che ha lo scopo di rimarcarne il valore in termini economici, sociali e ambientali e promuovere il sostegno alla sua tutela.

 

Sebbene l’importanza della biodiversità sia evidenziata da numerosi studi, in una relazione delle Nazioni Unite del 2019 gli scienziati hanno lanciato l’allarme per l’estinzione di un milione di specie (su un totale stimato di 8 milioni), molte delle quali rischiano di scomparire nell’arco di pochi decenni.

Quali sono le principali cause della perdita di biodiversità? Quasi tutte sono legate alle attività umane: inquinamento, crisi climatica, distruzione degli habitat (per esempio disboscamento e cementificazione), sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, uso scellerato della chimica di sintesi e cattiva gestione del sistema natura (introduzione di specie invasive).

“Forse sorprenderà – prosegue Barbara Nappini – sapere che il primo imputato per la perdita di biodiversità è l’attuale sistema agroalimentare, responsabile dell’estinzione e della distruzione dell’80% di specie e habitat. A proposito di numeri: oggi il 60% dei mammiferi sono bovini da allevamento e il 70% dei volatili sono polli, mentre sul fronte vegetale il 60% del nostro fabbisogno energetico dipende da poche varietà di grano, riso, mais e patate. Questo modello produttivo ci ha resi fragili, esposti agli shock climatici e sanitari, e dipendenti da fertilizzanti chimici e pesticidi che inquinano e danneggiano gli ecosistemi”.

Per proteggere davvero la biodiversità non è sufficiente confinarla in aree protette, lontana da noi e dal nostro sistema produttivo predatorio. Serve riportare la biodiversità al centro delle nostre vite e dare dignità e sostegno a quei territori dove diversità biologica e culturale convivono da millenni. Occorre, in altre parole, promuovere quelle pratiche (anche agricole) che tutelano e valorizzano la biodiversità.

 

Ma oltre a porre un freno alle pratiche che la distruggono, è urgente occuparsi su scala globale di un altro grande tema che riguarda la biodiversità: lo sfruttamento commerciale delle risorse genetiche.

Negli ultimi anni, le tecnologie di sequenziamento del dna hanno permesso agli scienziati di decifrare le informazioni genetiche di moltissimi organismi: una volta individuato un gene d’interesse, è possibile digitalizzarne la sequenza (la cosiddetta Digital Sequence Information, DSI), e inserirla in microrganismi terzi. Con questo sistema è oggi possibile produrre nuovi ingredienti e composti per creare o migliorare prodotti più diversi, dagli alimenti ai farmaci, fino alla cosmesi, portando notevoli utili alle aziende biotech che si trovano nei Paesi sviluppati, senza tuttavia riconoscere ai Paesi ricchi di biodiversità, solitamente quelli in via di sviluppo, alcun benefit economico che matura dall’utilizzo delle loro risorse genetiche.

Questo sistema, le DSI, è digitale e facilmente accessibile, pertanto non consente di mantenere un pieno controllo dell’operato, sfuggendo così a un sistema regolatorio internazionale.

Molti vertici se ne sono occupati (tra cui la COP 16 sulla biodiversità in Colombia e quella recentissima di Roma), ma esistono ancora importanti criticità: la natura volontaria del contributo economico da parte di chi sfrutta questo patrimonio genetico, l’assenza di sanzioni per chi non aderisce e l’incertezza sui criteri per calcolare le quote.

Diventa quindi essenziale trovare regole armonizzate affinché i popoli indigeni e le comunità locali, in quanto custodi della biodiversità e detentori delle preziose conoscenze tradizionali associate alle risorse genetiche, possano godere dei benefici e proseguire il loro indispensabile lavoro di tutela.

 

“Questa diversità dunque – conclude Barbara Nappini – va custodita come un tesoro prezioso non per nostalgia, ma per intelligenza ecologica collettiva, per necessità. Il tema della giornata di quest’anno, “Armonia con la natura e sviluppo sostenibile”, ci invita a pensare a un modello diverso di sviluppo che non crei competizione tra produzione e salute del pianeta. Tutti insieme dobbiamo farci promotori di un nuovo modello di sviluppo fondato sulla durabilità, sulla relazione armoniosa tra uomo e natura. Possiamo farlo, quotidianamente, partendo da scelte consapevoli di consumo, da come scegliamo di nutrirci, visto che il cibo diventa noi. Un punto di partenza semplice in quell’ottica di cambio di paradigma che mette al centro cooperazione, condivisione e salvaguardia del bene comune. Dobbiamo sollecitare e pretendere dai decisori politici, a partire da quelli europei, un maggiore e costante impegno. Non possiamo accettare che la strategia sulla biodiversità per il 2030, presentata dalla Commissione europea nel maggio 2020, venga progressivamente svuotata, come purtroppo sta accadendo. Difendere la biodiversità vuol dire difendere noi stessi, i nostri figli o nipoti, le nostre comunità. Significa difendere il futuro”.

a cura della redazione

seguiteci anche con un like su Instagram, nome utente: gio.vanni.acerbi

Written by giovanni47

Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *