È stato chiamato con una parola “Yuntaku” che in giapponese significa “chiacchiere”, ispirandosi a un detto tipico delle osterie di Okinawa, nelle quali alla fine della cena si usava gridare, per l’appunto, yuntaku! per dare il via alle bevute alcoliche e alle chiacchere tra i commensali.
Yuntaku, l’unico amaro etnico sul mercato, nasce dalla volontà di celebrare le affinità tra la cultura occidentale e quella orientale, offrendo un liquore di ispirazione asiatica che si sposa perfettamente con la fine di un pasto giapponese.
Questo amaro ha origine da un meticoloso processo di esplorazione tra la tradizione dell’amaro digestivo italiana e la cultura culinaria giapponese.
Un lungo periodo di due anni è stato dedicato a ricerche scrupolose ed esperimenti per sviluppare questa formula esclusiva, in cui la tradizione si fonde armoniosamente con sapori innovativi ed intriganti.
Il componente principale di questa creazione è il goya, conosciuto anche come bitter melon, un ortaggio distintivo di Okinawa noto per le sue proprietà antidiabetiche, antiossidanti e digestive, addirittura più del nostro melograno.
Gli altri elementi sono una selezione di spezie e fiori provenienti dalla tradizione orientale, tra cui galanga, pepe del Sichuan, zenzero, jasmin tea, sour cherry, ibisco e cardamomo verde.
L’infusione di goya fresco essiccato insieme a erbe, spezie e fiori tipici giapponesi, conferisce all’Amaro Yuntaku un sapore unico e avvolgente. Yuntaku è prodotto in piccoli lotti in una delle più storiche distillerie italiane, la Distilleria Paolucci di Sora.
Come nasce l’idea di Yuntaku
È un progetto e un’idea innovativa. Gli ideatori sono due italiani, Benedetta Santinelli e Simone Rachetta, che dopo un viaggio appassionato e appassionante attraverso il Giappone meno conosciuto, lontano dai grattacieli avveniristici e dai treni supersonici di Tokyo, hanno dato vita a qualcosa di straordinario.
Proprio con questo viaggio, infatti, comincia la storia dell’amaro Yuntaku, quando Benedetta e Simone, si addentrano fino all’isola di Okinawa, sul mar Cinese Orientale, e ad Aka, isoletta della stessa prefettura.
“È qui che abbiamo scoperto il goya”, racconta Simone. “Camminando per le vie del vecchio porto di Okinawa ci siamo imbattuti in alcuni banchetti caratterizzati da insegne con disegnato sopra questo vegetale, che somiglia a un cetriolo bitorzoluto in camice da medico, il goya.”. A Okinawa, oltre che come base della sua cucina, il goya viene venduto nei banchetti e largamente consumato anche come estratto, utile per il mal di testa e molti altri malanni; se consideriamo che l’isola ospita una delle popolazioni più longeve al mondo, possiamo insomma pensare che, oltre a uno stile di vita diverso, anche il goya, con le sue proprietà, faccia la sua parte.
“Incuriositi, assaggiamo questo estratto e scopriamo che è amarissimo”, continua Simone. “Ci piace molto, e così portiamo alcuni semi con noi a casa, in Italia. Qui mia madre mi chiede testualmente: ma perché non li piantiamo? Io sono scettico, l’isola di Aka è tropicale, niente a che vedere con il centro Italia. Eppure, nel giardino di Sara i semi crescono, e comincio a preparare degli estratti.”
“Siamo amici da sempre e in una dalle nostre serate tra risate e relax, raccontandoci di questo bellissimo viaggio”, continua Benedetta Santinelli, “assaggiamo l’estratto e, oltre la fortissima nota amara, molto peculiare in un vegetale, percepisco qualcosa di più, qualcosa di veramente speciale. È proprio lì che, parlandone, iniziamo a pensare di utilizzarlo come base amaricante per un liquore. Sia pur in ambiti diversi, lavoriamo da molti anni per e nel mondo degli alcolici, e per noi è stato quasi matematico arrivare a questa idea. Oppure, come ci piace dire: è stata proprio l’idea ad arrivare a noi.”
Il progetto di Benedetta e Simone parte nel momento più complicato, in pieno lockdown, quando iniziano ad adoperarsi come dei veri e propri “piccoli chimici” e a studiare gli ingredienti abbinabili alla base del goya per il loro amaro.
“Abbiamo fatto una ricerca approfondita, esplorando tra tutte quelle spezie originarie, o comunque fortemente utilizzate nella cultura culinaria giapponese”, ricorda Benedetta. “Abbiamo fatto dei test, mettendo in infusione vari tipi di spezie e fiori, abbiamo effettuato delle selezioni. Tutto questo con la collaborazione e l’aiuto dagli amici Eleonora De Santis (mixologist) e Riccardo Tuttolomondo (erborista), e con il proprietario della distilleria presso cui ci appoggiamo, la storica distilleria Paolucci di Sora, in provincia di Frosinone. La loro capacità ed esperienza nel bilanciamento delle varie spezie ci ha permesso di raggiungere il risultato finale.”
“Il goya in Giappone è un po’ come il pomodoro in Italia, fa veramente parte della cultura locale”, dice Benedetta. “Inevitabile, quindi, che il nostro Yuntaku generi molto interesse da quelle parti. Quando siamo tornati in Giappone con il prodotto finito il feedback è stato incredibile. Il goya non era mai stato utilizzato all’interno di un alcolico, e questa per i giapponesi è stata una piacevole e sorprendente novità, anche perché in realtà è estremamente coerente con la loro cultura e tradizione”.
La collaborazione con lo chef Yoji Tokuyoshi
Oggi Yuntaku inizia una collaborazione, che sembra sua di diritto, con lo chef giapponese Yoji Tokuyoshi, che si è subito innamorato di questo prodotto.
Questa partnership vedrà Tokuyoshi impegnato in un tour culinario aperto a tutti. La prima tappa si è svolta il 16 maggio alla sua Bentoteca.
Il locale, per la prima volta nella sua storia, ha aperto le porte alla mixology, grazie proprio a Yuntaku, a testimonianza, ancora una volta, dell’impegno di Chef Yoji Tokuyoshi nel creare esperienze gastronomiche uniche che valorizzino la diversità culturale e culinaria.
Prossima tappa del tour sarà il ristorante romano Retrobottega di Alessandro Miocchi e Giuseppe Lo Iudice nel mese di giugno. L’anno si concluderà a Torino al ristorante Condividere dello chef Federico Zanasi, nel mese di ottobre.
Yoji Tokuyoshi
Yoji Tokuyoshi, nasce nel 1977 a Tottori, una piccola cittadina giapponese sull’isola di Honshu. Dopo varie esperienze nei ristoranti italiani a Tokyo, arriva in Italia dove trascorre quasi un decennio all’Osteria Francescana, tempio della cucina italiana guidato dal celebre chef Massimo Bottura. Qui guadagna la posizione di sous chef.
Nel febbraio 2015, Tokuyoshi decide di intraprendere una nuova personale strada e apre il suo ristorante a Milano, Ristorante Tokuyoshi, che conquista in solo 10 mesi la stella Michelin. Nel 2020 trasforma il suo ristorante in quella che oggi è la Bentoteca, un ristorante non più fine dining ma accessibile a tutti, una vera e propria trattoria giapponese.
Inizialmente nato come spin-off del Ristorante Tokuyoshi, con una gastronomia da asporto in piena pandemia, oggi la Bentoteca è diventata un delizioso bistrot che rappresenta i sapori giapponesi mantenendo una chiave di lettura occidentale.
Yuntaku
Yuntaku è il primo amaro giapponese al mondo, che unisce la cultura giapponese alla tradizione italiana.
La sua ricetta è ispirata alla cultura culinaria dell’isola di Okinawa – meglio conosciuta come il paradiso del Giappone – ed eseguita seguendo l’antica tradizione italiana dell’amaro digestivo. Amaro Yuntaku è prodotto in small batch in una delle più storiche distillerie italiane.
Alla base della ricetta c’è il GOYA, anche noto come melone amaro, insieme a erbe, spezie e fiori tipici giapponesi – tra cui pepe Sansho, zenzero, fiori di ciliegio e jasmine tea, importati direttamente dal Giappone, tutti infusi artigianalmente in small batch di distillato di cereali e puro zucchero di canna.
a cura della redazione
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