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SEGNO + SCRITTURA

Due mostre di Fernanda Fedi e Gino Gini

a cura di Simona Bartolena e Armando Fettolini

 

Fernanda Fedi

La scrittura è morta. Reinventiamo la nostra scrittura

 

Gino Gini

Nel segno della scrittura

 

Spazio Heart

Via Manin 2, Vimercate

4 maggio – 15 giugno 2025

Ingresso libero

 

Orari di apertura

da giovedì a domenica 16-19

 

Inaugurazione mostre

Domenica 4 maggio ore 18.30

 

Informazioni

[email protected]

 

Lo Spazio Heart di Vimercate presenta dal 4 maggio al 15 giugno il progetto espositivo “SEGNO + SCRITTURA” curato da Simona Bartolena e Armando Fettolini con le mostre di due assoluti protagonisti della scena artistica milanese degli ultimi decenni, fondatori nel 1983 dell’Archivio Internazionale del libro d’artista: Fernanda Fedi e Gino Gini, capaci entrambi, ognuno a modo suo, di creare una sensazione di straniamento e successivo entusiasmo di fronte alle loro opere.

Due autori certamente differenti per modalità di lavoro, tecniche e stili, che tuttavia trovano il loro punto di contatto nella riflessione sul rapporto segno-scrittura, parole-immagine, sebbene dialoghino fra di loro con due esposizioni ben distinte.

 

Fernanda Fedi

La scrittura è morta. Reinventiamo la nostra scrittura

 

La mostra prende il nome da un’importante opera di Fernanda Fedi, creata negli anni Ottanta, un tempo in cui l’artista compie una svolta decisiva nel suo percorso creativo e poetico, abbandonando il rigore strutturale degli anni precedenti per riscoprire la pittura, il segno, il gesto. Un ritorno al sentire, ma con una consapevolezza nuova. Le opere esposte allo Spazio Heart appartengono proprio a quel periodo fertile, in cui lo stile di Fedi si fa più maturo, più intimo, più suo, e l’artista si dedica all’intreccio tra parola, suono, poesia, musica, dipingendo i suoi segni illeggibili.

Anche se liberate dai vincoli concettuali, razionali, e animate da una più ampia libertà espressiva, queste opere non sono frutto del caso. Nella loro narrazione non vi è traccia di istinto incontrollato o di slancio informale. Fedi non si lascia travolgere dalla furia del gesto né sedurre dalla figurazione. Il suo linguaggio resta essenziale, rigoroso. Ogni colore è scelto con cura, ogni movimento della mano è ponderato.

Come sottolineano Simona Bartolena e Armando Fettolini “Quello che sottende queste composizioni è un equilibrio sottile ma stabile e sicuro: un gioco di armonie, rimandi, proporzioni, come in una partitura musicale. Il suo segno danzante e musicale produce sensazioni sinestetiche, quasi di ascendenza simbolista, collocandosi in un limbo indefinibile tra poesia e musica, pittura e riflessione filosofica. Sono superfici percorse da fremiti cromatici e luminosi, che si fanno suono pur nel loro silenzioso essere.”

 

Siamo lontani dalla “poesia visiva” a cui talvolta è stata accostata. La parola, nella sua arte, è assente, trasfigurata in un segno enigmatico. Come osserva Vincenzo Accame, Fernanda Fedi appartiene a una generazione che ha superato tanto la poesia concreta quanto l’arte concettuale. La sua distanza da quei movimenti non è questione anagrafica o di epoca storica, ma di mentalità, di sguardo, di spirito.

Lei stessa racconta che prima crea, poi osserva e infine interpreta ciò che ha fatto. L’atto creativo segue dunque un’urgenza interiore, un bisogno profondo e istintivo, che tuttavia non si traduce nella veemenza di un atto incontrollato.

Il segno è il suo strumento, la pittura il suo linguaggio. Ma la mano dell’artista è sempre guidata da un filo sottile, invisibile, che segue un percorso interiore. Un’eco della propria essenza.

Questa ricerca trova affinità con la leggerezza e la precisione degli Haiku orientali, dove la parola si fa segno, testimonianza visibile di un’esistenza. Come negli Haiku, anche nelle opere di Fedi si trova equilibrio, armonia. Grazia, intensità, ma sebbene nella loro profondità possano sembrare musica, o luce, o pensiero, le opere di Fernanda Fedi sono, semplicemente, pittura.

 

Gino Gini

Nel segno della scrittura

 

In questa mostra Gino Gini sceglie di raccontarsi attraverso due tappe della sua ricerca: da un lato i lavori più recenti – con le recenti serie dei Calendari, delle Home Page e degli Alfabeti – dall’altro gli Atlanti del cielo, nati negli anni Novanta. Due momenti diversi, ma legati da un unico filo conduttore: il desiderio di osservare, archiviare, dare forma al pensiero.

I suoi Atlanti del cielo sono mappe impossibili, che vorrebbero contenere l’incontenibile: il cielo, lo spazio, il tempo.

Gini disegna traiettorie, segna direzioni, annota appunti come un viaggiatore attento. La scrittura accompagna l’immagine, ma senza dominarla. È un dialogo aperto tra parola e forma. A volte il testo si fa segno, quasi illeggibile. Ma resta umano, profondamente umano: è la traccia dell’uomo che guarda, che pensa, che cerca.

 

La stessa logica abita Calendari, Home Page e Alfabeti. Anche qui si riflette sul valore della parola, sulla sua relazione con il tempo, sul ritmo quotidiano delle cose.

Gino Gini prende un oggetto comune – come, ad esempio, il calendario – e lo carica di senso nuovo. Ogni giorno una parola, semplice e chiara, si affianca alla data come fosse un promemoria esistenziale. Parole che conosciamo, ma che in questo contesto ci appaiono straniere, quasi misteriose.

 

Il tempo, nel suo scorrere banale, viene interrotto da queste presenze silenziose che ci obbligano a pensare. In questa maniera l’artista ci invita a riflettere sulla nostra ossessione per il presente e sull’incapacità di dare valore al tempo, alla memoria, all’attesa. Le sue parole sono come battiti: scandiscono un ritmo, suggeriscono un ordine, ci chiedono di fermarci, anche solo un istante, ad ascoltare.

Gino Gini è stato fra i fondatori della Mail Art e ha attraversato, con curiosità e rispetto, alcuni dei movimenti d’avanguardia più affascinanti della seconda metà del Novecento: la Poesia Visiva, il Situazionismo, la Narrative Art. Di ognuno ha studiato i linguaggi, ha colto le idee, ha raccolto stimoli. A volte ne è stato anche protagonista, pur restando sempre fedele a una voce tutta sua.

Tuttavia, la sua autonomia rispetto a questi movimenti nasce da una semplice verità, più volte sottolineata: Gini è, prima di tutto, un pittore. Colto, ma sempre pittore. Non un poeta prestato all’arte visiva, né un teorico concettuale, né tanto meno un intellettuale situazionista. La sua mano non abbandona mai il gesto, il colore, la materia. Il “fare” resta al centro: concreto, manuale, vivo.

 

Pur spesso associato alla Poesia Visiva, Gini percorre una strada diversa: non rinnega la pittura, ma la rinnova. Introduce la parola nell’arte visiva senza rinunciare al colore, alla forma, alla composizione, per un lavoro unico sul rapporto fra parola, immagine e scrittura. Non si accontenta del concettuale: lo supera con il gesto, lo trasforma in emozione.

I suoi segni del quotidiano – parole, numeri, simboli, suoni, fotogrammi – acquisiscono una forza visiva nuova, diventano veri e propri elementi pittorici. Le sue opere non si leggono soltanto, si guardano, si sentono. Nascono da una contaminazione feconda e generano risultati sorprendenti: quadri che parlano il linguaggio dell’arte, prima ancora che quello della poesia.

 a cura della redazione

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Written by giovanni47

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